Daniela riporta il Vate a Gorizia


Pescara – (Di Carlo Di Stanislao) – In occasione dei 150 anni dalla nascita di Gabriele D’Annunzio, la scrittrice ed attrice abruzzese Daniela Musini, che al vate ha dedicato interesse profondo e sensibile attenzione, attraverso saggi, pièce teatrali e performance di vario tipo, consegnerà, il prossimo 16 marzo, al sindaco di Gorizia Ettore Romoli, a nome del sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia, un’opera in cristallo con l’effige del poeta, quale suggello della antica amicizia fra le due città, tanto care al poeta.
Lo scorso 14 febbraio, Daniela Musini ha letto, a Pescara, alcune pagine dal volume inedito della scrittrice e giornalista Paola Sorge, “Eleganza e voluttà in Gabriele d’Annunzio”, aprendo di fatto le celebrazioni per i 150 anni del Vate.
Scrittore, giornalista, poeta, librettista, soldato, aviatore, avventuriero: Gabriele D’Annunzio è stato un personaggio discusso , controverso, ambiguo, estroso.
Il grande pubblico ricorda soprattutto le sue imprese militari, che sono entrate nella leggenda, come l’occupazione di Fiume, il volo su Vienna, la beffa di Buccari, e le sue storie d’amore con nobildonne e celeberrime attrici, che riempirono le gazzette del tempo e scandalizzarono mezza Europa. Su di lui è stato scritto moltissimo e gli esperti hanno analizzato tutto.
Ma la Musini, con i suoi scritti e le sue rappresentazioni, è entrato nell’animo di un uomo contraddittorio e complesso, sensuale ed insieme spirituale, carnale e francescano e che non è soltanto un impenitente libertino, uno che sfidava con sfacciataggine tutte le regole della morale del suo tempo.
Si è detto che dopo d’Annunzio è quasi impossibile scrivere, ed è quasi impossibile leggere. Al confronto molta letteratura sembra vaga, diluita, amatoriale. Ma non gli scritti della sorprende Daniela, pieni di slancio, freschezza, novità, capaci di un uso sublime della parola, che crea sequenze di immagini luminose, contrastate, definite, di ombre, di sensazioni, di scintille irraggiungibili, descritte con assoluta esattezza, rese vive, strappate da momenti così intimi, da non sembrare neppure intuibili, neppure visibili, in cui non vi è ricerca felice o dolorosa della purezza, della tecnica, della linea che demarca la verità dell’immagine dal compiacimento solitario e inutile, ma dono che, per qualche imperscrutabile magia, passa nel cuore del lettore e dello spettatore.
Prima di Joyce, d’Annunzio crea metaforme, plasmi, melodie di pensieri ravvicinati e soprapposti, fino ad allora solo intuiti.
Ora Daniela crea splendori, che crescono in bellezza e ricchezza e appaiono più onesti e più grandi, facendoci assistere alla espansione del pensiero alla potenza dei suoi moduli sovrapposti, con nuove concatenazioni che sono piante e fiori d’altri mondi, eppure comprensibili.
Con lei non vi è più né impaccio di parole né di carne , che invece si elevano ad altezze vorticose, perché è in virtù della carne e della parole, è in virtù della materia che lo spirito s’innalza e acquista maggior forza e maggior valore.
E se il dannunzianesimo è stato un nemico da vincere, ora molti di noi, grazie a Daniela, ai suoi fatti ed ai suoi scritti, diciamo gloria a D’Annunzio e alla innocenza poetica che riscattò il limo di Adamo, perché è tempo che l’eredità dannunziana sia considerata in quel che ha di positivo, quel senso di vitalità solare che da tante pagine si comunica e si sparge e che vince troppo retorica, pumicea e scura.


13 Marzo 2013

Categoria : Cultura
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