Camoscio? Bello e molto studiato
Pescasseroli – GLI ANIMALI VANNO PROTETTI MA ANCHE STUDIATI – Scrive l’ufficio di presidenza del Parco nazionale: “L’Ente Parco ha, come è noto, tra le sue finalità istituzionali quella della ricerca scientifica finalizzata alla conservazione. Le attività di ricerca costituiscono perciò attività “ordinarie” dell’ Ente. Tutte le specie animali e vegetali vengono quindi sudiate a prescindere da Progetti speciali come, ad esempio, quelli comunitari Life Natura/Ambiente/Plus etc. Per l’Orso è appena terminata la ricerca condotta dalla Università “La Sapienza” di Roma, che incontra poi un seguito nel “Life Arctos”.
Quanto al Camoscio d’Abruzzo, pur nella gravissima difficoltà economica del Parco, una ricerca triennale è in corso con le Università di Siena e Bologna, che prestano la propria collaborazione a condizioni di assoluto favore.
Questa ricerca è mirata alla valutazione degli effetti della presenza del cervo sulla qualità dei pascoli e sull’alimentazione del camoscio. I primi risultati sono stati recentemente presentati a un congresso internazionale a Francoforte, in Germania. I risultati finali saranno disponibili nel prossimo autunno, ma già emergono alcuni aspetti importanti.
Il successo delle operazioni di reintroduzione del cervo nel Parco ha portato questa specie a superare 2500 individui. Durante i mesi estivi e autunnali questo erbivoro di foresta fa anche uso delle praterie di altitudine, fino a qualche decennio fa utilizzate nel Parco dal solo camoscio. Pertanto, in qualche area, entrambi questi ruminanti si nutrono delle stesse risorse alimentari. I delicati equilibri ecologici che caratterizzano gli ambienti d’alta montagna comportano una fragilità di questi rispetto ai rischi del sovrappascolo, che, combinato al mutamento climatico in atto, può produrre alterazioni qualitative della cotica erbosa, con effetti negativi sulla nutrizione del camoscio.
L’alterazione del pascolo può venire ulteriormente aggravata dal calpestio dei grandi erbivori ungulati (cioè dotati di zoccoli). Un abbassamento della qualità alimentare delle praterie d’altitudine interessa soprattutto gli elementi più sensibili nei branchi di camosci, cioè i piccoli. La fase di crescita corporea, cruciale per questi, necessita infatti risorse alimentari abbondanti e di alta qualità, che consentano di affrontare i rigori dell’inverno in adeguate condizioni fisiche. Ove questo non si verifichi, la mortalità invernale è destinata a manifestarsi particolarmente alta nei confronti dei camoscetti. I sottili rapporti ecologici tra più specie di erbivori selvatici e i mutamenti del clima sono difficili da gestire. L’effetto potrebbe essere negativo nei confronti della specie più sensibile, e quindi del camoscio, se alla presenza dei selvatici venissero ad aggiungersi anche forme di pascolo impattante come quello degli animali domestici, non evolutisi con l’ambiente naturale.
La distribuzione dei camosci nel Parco non è più quella di qualche decennio fa e sta modificandosi in relazione alla presenza sia del cervo, sia del bestiame domestico. Se è molto difficile limitare le densità di quello, è invece possibile e auspicabile il controllo di questo, che è condizionato dall’uomo nei suoi movimenti.
Di conseguenza, l’azione del Parco deve essere diretta a bilanciare la situazione privilegiando, ovviamente, le iniziative di conservazione del “Camoscio più bello del mondo”.
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