13 gennaio 1915, ore 7,53, quando Avezzano scomparve tra lutti, macerie e disperazione


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – (Foto dall’archivio di Inabruzzo.com e da Internet) – Avezzano scomparve alla vista dei pochi sopravvissuti alle 8 del mattino non ancora scoccate. L’alba fredda del 13 gennaio 1915. 30-35.000 morti in tutta la Marsica, 370 siti abitati devastati o distrutti. Deceduti 9.000 dei 12.000 abitanti della città, che oggi ne conta oltre 43.000: una rinascita rigogliosa, ma anche un’ombra nera sul passato che non si cancellerà mai.
Seneca scrive: “Antequam terra amoveatur, solet mugitus audiri”. Prima che la terra di sconquassi, talvolta si sente un muggito… Il boato. Che quella mattina fu tremendo, e fu anche l’ultimo suono della vita per un esercito di vittime.
A quasi cent’anni dalla catastrofe, ci sono dati ed elementi scientifici per poterla capire meglio. Tentiamo di farlo dopo una ricerca.
I terremoti appenninici si debbono alla spinta della placca adricana-adriatica che tende a infilarsi sotto la penisola italiana. E’ la remotissima origine delle montagne appenniniche. Come causa geologica, il meccanismo è comunque semplice, a grandi linee: l’Africa con la protuberanza adriatica (come un corno sotto il mare) spinge verso Nord. Potete osservare la mappa geologica che riproduciamo.
Falso, tuttavia, che il terremoto della Marsica arrivò all’improvviso: una lunga serie di scosse sismiche durava da mesi, ma nessuno – la storia è maestra – ci faceva caso. La scienza sismica era in crescita, ma ancora piccola…
I contadini del Fucino sapevano che dal suolo veniva fuori da tempo gas combustibile: lo usavano anche per arrostire il castrato. Avevano notato che alcune scaturigini di acqua si erano misteriosamente riscaldate. C’era odore di zolfo qua e là, l’acqua dei pozzi era torbida. Dopo la scossa fortissima del 13 gennaio, il suolo apparve stravolto: vulcani di fango, frane, scarpate di faglia, voragini, variazioni topografiche. Mutamenti chimici nella composizione dell’acqua sorgiva. Se il sisma dell’Aquila ha alterato il profilo del suolo in tutta la conca, figuriamoci la alterazioni nella Marsica. Ma nessun satellite poteva rivelarle, allora. Possiamo supporle oggi, in quanto sappiamo che il terremoto deforma il suolo, innalza e abbassa.
Le scosse durarono per oltre un anno (anche forti). Le repliche immediate furono molte e molto forti. Stando ai dati storici, nessun terremoto rilevante c’era mai stato nella Marsica.
Resta il dubbio, mai a sufficienza esplorato, di un sisma catastrofico conseguenza del prosciugamento del lago Fucino: l’epicentro fu localizzato dai geologi dell’epoca ai margini del bacino, tra Paterno e Ortucchio. Ai margini del bacino corrono le due maggiori faglie di quel territorio, sicuramente influenzate dalla rimozione di immense masse d’acqua, dall’immenso peso.
Del resto, sono sempre sussistiti dubbi anche sull’origine del terremoto di Campotosto del 1950 (5,2 Richter, danni nell’Aquilano, nel Lazio e nel Teramano): c’è chi sostiene ancora che la faglia fu sollecitata dalla realizzazione del bacino idroelettrico.

Il terremoto di Avezzano ebbe magnitudine 7 Richter, o se volete, fu dell’11° grado Mercalli. La scala Richter misura l’energia sprigionata dall’ipocentro, la Mercalli misura invece i danni. Un 7 Richter è migliaia di volte più forte del 5,8 di aprile 2009 a L’Aquila (5,8 di magnitudine locale, 6,3 di magnitudine momento). La scossa principale di Avezzano sviluppò energia pari a quella dell’esplosione di 32 milioni di tonnellate di tritolo. Le scosse raggiunsero Roma, danneggiarono il colonnato di San Pietro e la facciata di S.Giovanni. Danni igenti anche a L’Aquila e nei centri vicini, dove furono innalzate centinaia di baracche e crollò parte della facciata di Collemaggio.
Il terremoto investì l’Italia dalla Basilicata al Veneto. Un cataclisma aggravato dalla coincidenza con l’inizio della guerra.
Ciò nonostante, lo Stato inviò migliaia di soldati e il re Vittorio Emanuele III visitò la zona colpita.
Quegli anni non risparmiarono nulla agli italiani. Parlando di terremoti, quelli “vicini” come data furono numerosi: nel 1908 Messina, nel 1914 Lucchesia (5,8 Richter), 1916 Romagna (6 Richter, diverse scosse, danni a Rimini e Riccione) e subito dopo un 5,5 Richter in Valle Tiberina. Sismi forti e disastrosi uno dopo l’altro, danni enormi (le costruzioni non erano antisismiche: la sola casa di questo tipo ad Avezzano rimase in piedi…), soldi pochi, povertà molta, dolore e morti per la guerra tanti.
Nella Marsica , dicono alcuni autori , si era costruito tanto e molto in fretta, e anche questo elemento contribuì alla distruzione totale in tanti centri, come Celano, Capistrello, Cese, Collarmele, Paterno, Scanno, Sora, Arpino, Isola Liri e altri.
Durante il processo Grandi Rischi, una collega svizzera di Bellinzona conosciuta al bar ci chiese se era vero che esistevano ancora le baracche del 1915. Pensava potessero esistere anche a L’Aquila. “Certo, ne esistono ancora – le spiegammo – nella Marsica e in Valle Roveto. Ma hanno promesso di toglierle…”. Rise e disse: “Allora l’Italia è proprio come la descrivono in Europa…”. “Talvolta anche peggio” le rispondemmo, le offrimmo il caffè. Le risparmiamo il dettaglio delle cosiddette “casette antisismiche” di Avezzano, ancora oggi regolarmente abitate.
La mattina del 13 ci saranno cerimonie per ricordare i morti e il dolore della distruzione, dalla quale Avezzano e la Marsica sono risorte con coraggio e fermezza. Il sindaco Gianni Di Pangrazio non potrà esimersi dal ricordare i giorni della tragedia e quelli della rinascita. E neppure gli amari giorni nostri, nei quali l’onda sismica è la crisi economica, che sta colpendo il territorio con durezza impressionante: a rischio è la Micron, il pilastro dell’economia.


12 Gennaio 2013

Categoria : Cronaca
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.