Sete di candidature, solo voglia di potere
L’Aquila – (di Giuliano Tomassi, direttivo IDV L’Aquila, foto) – Molti sono gli errori nei quali sta incappando la politica in questo periodo elettorale, ma molti di più sono quelli nei quali vengono indotti i potenziali elettori, sballottati dalle promesse dei “soliti candidati”, che non rinunciano alla futura gestione del potere e che non danno segnali di ravvedimento rispetto al proprio passato ”modus operandi”.
C’è una corsa sfrenata alle candidature e, allo stato attuale, nessun punto di raccordo con la base che, ancora una volta, si vede esclusa sia da ogni contributo fattivo alla scelta dei candidati che dalla possibilità di esprimere i criteri di tali scelte, che sono l’essenza dell’esistenza dei partiti, in una gestione democratica degli stessi. Il personalismo che ha caratterizzati i cosiddetti leaders politici è diventato il mezzo con il quale si impongono le scelta alla collettività la quale, mai come in questo momento, è fermamente decisa nei confronti dei furbi a non farsi trattare più da pecora.
L’azienda della politica messa in campo in Italia, con tutti i suoi sistemi di spreco di denaro pubblico, di furti alla collettività, di arroganza e saccenza inverosimili è tipica dei periodi di decadenza civile.
Ma ancor di più sconcerta che, in nome della democrazia, ci si ritenga titolati a rappresentare gli interessi locali e quelli nazionali, in un paese piegato in due dalla mancanza di lavoro e con una percentuale altissima di cittadini che, al momento del voto, non si recano alle urne.
Per questa classe politica che tenta di correre ai ripari con l’obiettivo di intercettare la cosiddetta società civile, come se tutte le persone comuni e normali, magari più titolate a rappresentare un territorio, non lo fossero, non c’è limite alla spudoratezza. L’incapacità di non sapersi o non volersi rinnovare è oggi il vero bubbone della élite politica, che vanifica qualsiasi istanza di cambiamento nei metodi e nella azione.
Ogni notabile è stato attento a non far crescere attorno a sé un nuova classe politica, che potesse mettere in forse i privilegi acquisiti, rendendo la politica italiana un fossile rispetto al dinamismo, all’obiettività, alla trasparenza, al saper affrontare i problemi della collettività che caratterizzano gli altri paesi europei.
Ci siamo sempre vantati di essere tra i fondatori dell’Europa ma occupiamo i primi posti in classifica per la corruzione che pervade ogni settore della vita politica e sociale.
Guai, però, se dello scandalo complessivo, in cui ci costringono a vivere, qualcuno fa motivo di indignazione: lamentarsi sì ma eccedere mai, o si rischia di essere additati come qualunquisti. L’accusa di qualunquismo è l’arma letale di questi poveri politici di mestiere, che sono pronti a minimizzare la quantità di nefandezze compiute in dispregio del senso civico e dell’etica.
Perciò il “porcellum” non viene riformato da nessuno, le provincie non vengono accorpate, il finanziamento ai partiti (oggi si chiama rimborso elettorale) rimane. La trasparenza sull’uso delle risorse pubbliche si è trasformata in un’oscurità pari a quella dei fondali oceanici e nessun leader avverte l’esigenza di chiedere scusa ai cittadini per quanto di “sporco” c’è all’interno del proprio partito-movimento. Anzi, in diversi chiedono oggi di essere rappresentativi di quote e percentuali di candidature, veramente immeritate all’interno dei cartelli elettorali, che si vanno costituendo.
La loro logica si basa sulla convinzione che il sistema ha sempre tenuto e, quindi, per quale motivo non dovrebbe tenere adesso? In tal modo perpetuano una cecità politica allarmante, che non permette loro di vedere al di là della punta del proprio naso e che porta al naufragio il nostro paese, coprendolo di ridicolo nell’ambito di un’Europa rispettosa delle cose e delle persone.
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