Riflessioni sull’analisi del rischio e sulla prevenzione
Dopo tutto, le nostre società non sono nate ieri e sono a conoscenza dei rischi insiti nella natura dei loro territori oltre che dei rischi per il nostro sistema ambientale derivanti dalla giusta corsa al progresso. In tal senso, i popoli della terra hanno sviluppato nei millenni degli strumenti di difesa, primo fra tutti la cultura, bene immateriale, che è un telescopio rivolto al passato necessario per camminare verso il futuro senza cadere negli errori del passato e che ha impregnato al suo interno valori, standard e comportamenti collettivi che si sono affinati nei secoli e modificati, adattandosi al contesto ambientale di riferimento.
Se si tira una linea da ragionieri e si paragona il medioevo con l’oggi, leggendo il risultato di una media, ci si accorge che tanto è stato fatto in termini di gestione del rischio ma, nonostante ciò, e nonostante il progresso tecnologico materiale, in molti casi specifici molte popolazioni del mondo, per mezzo delle loro istituzioni, hanno fallito, chiaramente, nella prevenzione o nella gestione dei rischi naturali ed industriali a cui erano esposte, attraverso un procedimento vizioso della minimizzazione del rischio, senza considerare i tristi casi, pre terremoto dell’Aquila, di dolo eventuale e colpa con riflessi penali di cui purtroppo siamo testimoni diretti in Italia.
Per capirci meglio dobbiamo condividere il significato che intendo per le parole analisi del rischio e prevenzione.
Per quanto riguarda le parole analisi del rischio intendo far riferimento all’analisi degli elementi che costituiscono la seguente uguaglianza:
rischio = pericolosità*vulnerabilità*esposizione. Quindi una buona analisi del rischio deve analizzare non solo la pericolosità di un certo evento ma anche la vulnerabilità del territorio dove insiste o potrebbe insistere quell’evento e l’esposizione al rischio degli abitanti di quel territorio. Detto in parole semplici, se esiste una remota probabilità che un determinato sisma di magnitudo 5 colpisca una zona dove ci sono soltanto edifici costruiti con le ultime normative antisismiche e con isolatori sismici ho un certo rischio e attiverò certi comportamenti di prevenzione. Se, invece, esiste una remota probabilità che un determinato sisma di magnitudo 5 colpisca un territorio montano del centro Italia, dove ci sono dei paesini medievali le cui case sono costruite in vario modo con tecniche costruttive recenti e antiche, allora dovrò attivare dei comportamenti di prevenzione che non sono uguali a quelli del primo caso ma più efficaci ed intrusivi.
Per quanto riguarda la parola prevenzione intendo far riferimento alle strategie ed alle attività poste in essere a livello nazionale, regionale, locale ed individuale per eliminare o quantomeno ridurre i rischi o i pericoli per la vita umana prima del verificarsi di un eventuale evento più o meno disastroso. Ma quanto prima? Il quanto prima dipende dall’analisi del rischio così come definita. Potrebbero esserci dei casi, come il terremoto nelle zone ad elevato rischio sismico, dove il prima si traduce in sempre.
Spesso, i responsabili della protezione civile locale, i sindaci, si rifugiano dietro gli obblighi normativi con agire pilatesco. La nostra esperienza e l’aver toccato con mano l’implementazione di quello che prevede la normativa e la burocrazia istituzionale ci porta ad affermare che non bastano e che sulla base di esperienze pregresse le normative e gli standard di sicurezza vanno aggiornati ed adattati dopo averne riconosciuto i limiti e gli errori precedenti. Nel caso del terremoto dell’Aquila, per esempio, a parte le infelici fattispecie di carattere penale che hanno visto le aree di raccolta e accoglienza simbolicamente occupate, nel corso di un acuto sciame sismico, dalle bancarelle per Pasqua e dal circo (evidente e letale comunicazione simbolica di normalità alla popolazione), a parte la mancata analisi del rischio intesa nel vero senso della parola, a parte l’operazione mediatica studiata a tavolino per ragioni di onnipotenza, a parte l’assenza di un vero piano di protezione civile supportato da anni di prove istituzionali e con la partecipazione della popolazione, penso che siano mancate delle azioni di prevenzione non previste dall’attuale normativa. Mi riferisco ad un’area di raccolta della popolazione attrezzata, anche con l’ausilio di convenzioni con volontari della protezione civile (veri volontari e non quelli a pagamento) per dare informazioni istituzionali, con dei servizi utili a ricevere la popolazione “pre evento” e cioè un’area dove, durante uno sciame sismico che non è detto culmini con un evento distruttivo, chi dovesse per istinto o per conoscenza, non sentirsi sicuro a casa propria (pensate a tutte quelle case dei paesini italiani costruite in pietra e muratura e mai adattate con le ultime tecnologie antisismiche) possa andare da solo o con la famiglia per trascorrere alcune ore in sicurezza all’interno della propria macchina, per chi la possiede, o all’interno di strutture prefabbricate facilmente rimuovibili. Sono sicuro che molti studenti dell’Aquila si sarebbero salvati quella notte se accolti con una bella tazza di the caldo e se informati da dei volontari della protezione civile liberi di parlare di pericolo dell’evento, di vulnerabilità delle strutture abitative e di esposizione della popolazione a rischio di morte in caso di una certa magnitudo. Mi riferisco anche ad una strategia di prevenzione che preveda un avvicinamento sul territorio con uno sciame sismico in corso di uomini preparati ed equipaggiati oltre che mezzi meccanici utili a rimuovere in pochi minuti eventuali manufatti crollati sulle persone. Nel caso dell’Aquila i primi soccorsi utili con uomini e mezzi meccanici sono arrivati in città dopo più di 7 ore, quando per molti era troppo tardi. Mi riferisco anche ad una strategia di prevenzione che preveda l’obbligo di istituire un libretto obbligatorio dell’immobile simile al libretto della manutenzione delle automobili. Spesso, oggi, il valore dell’immobile è dato dalla posizione dello stesso piuttosto che dalla sua capacità di salvaguardare la vita umana in caso di evento sismico. Ovviamente la verifica periodica, con gli eventuali lavori, deve risultare sul libretto ed il tecnico, in caso di verifica periodica superficiale, deve essere sanzionato penalmente e civilmente con pene molto severe. Questi tre esempi, ma altri se ne possono fare, fanno capire che la nostra cultura può evolvere in meglio, considerando gli errori e perfezionandosi, senza arroccarsi su posizioni arroganti da primi della classe nonostante i risultati siano stati dei peggiori. All’Aquila c’è un detto che rappresenta quello che vedo e voglio esprimere “…come i rospi alle sassate”. C’è un movimento, cosiddetto del “precautionary principle”, nato in Germania negli anni ’70 che è stato fondato sulla considerazione che qualcosa di più si può fare, qualcosa di più efficace rispetto alle ordinarie tecniche di gestione del rischio si può e si deve fare. Ne sono profondamente convinto e sono convinto che la prima a doversene convincere sia la mia comunità, quella toccata dal terremoto sulla propria pelle, senza aspettare cambiamenti normativi obbligatori.
Per ultimo vorrei fare riferimento alla proposta di legge “Il piano antisismico nazionale” presentata a Roma il 15 novembre scorso presso il Teatro Brancaccino (la proposta di legge è contenuta in una pagina ed articolata in 3 articoli). Ero presente alla presentazione e mi sono permesso di fare un intervento propositivo rivolto agli estensori mettendo in evidenza alcune cose, molte delle quali citate in questo articolo. Su un principio ho insistito e insisto sempre più convinto. Prima ancora di far riferimento alle opere materiali necessarie ed alle compensazioni per il “fermo macchina”, il disegno di legge deve avere all’articolo 1 un riferimento esplicito e ben chiaro all’obiettivo, alla missione, alla ragion d’essere dello stesso: la salvaguardia della vita umana attraverso la prevenzione contro i terremoti senza alcun distinguo o valutazione di costo opportunità. Mi è stato risposto che il riferimento era presente nella relazione accompagnatoria al disegno di legge. Ma le premesse con il tempo si dimenticano e rimangono le leggi ed i principi ispiratori scritti nero su bianco. Le migliori intenzioni, come l’esperienza ci ha insegnato, con il tempo, si possono trasformare, per esigenza o per convenienza, in azioni maligne attivabili solo in presenza di convenienza economica a discapito delle minoranze o dei più deboli. Per sostenere questa esigenza faccio leva su un’enunciazione di I. Kant nella seconda formula dell’imperativo categorico che condivido: “Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre anche come un fine e mai unicamente come un mezzo”.
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