Cose aeree, saperle può far comodo
Pescara – (di Stefano Leone) – A CHI VIAGGIA QUALCHE APPUNTO SU SIGLE, NUMERI, ACRONIMI – Se chiedete a dieci persone cosa significhi l’acronimo JFK, almeno otto risponderanno senza esitazione che si tratta del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963. Se però lo chiedete a un pilota o a un frequent flyer, (che altro non è che un’accumulo punti, insomma una carta fedeltà), otterrete una risposta diversa. Per loro infatti, la sigla JFK identifica l’aeroporto intercontinentale di New York, quello che per anni è stato conosciuto col suo nome originale, Idlewild, e con un’altra sigla IDL. Nome e sigla furono cambiati quando l’aeroporto fu intitolato a J. F. Kennedy un mese dopo la sua uccisione, e di quegli eventi storici ci ha parlato un altro “JFK” famoso: il bel film di Oliver Stone, girato nel 1991 per l’interpretazione di un grande Kevin Kostner. Ad assegnare questi codici di tre lettere che identificano gli aeroporti aperti al traffico commerciale è la IATA, un’associazione nata nel 1945 che riunisce quasi 250 compagnie aeree, capaci di assicurare l’85% del traffico commerciale mondiale. Sono questi i codici che ogni passeggero legge sui suoi biglietti e sulle etichette applicate alle sue valige, quelle antipatiche strisce appiccicaticce che non si riesce mai a togliere una volta rientrati a casa, e che magari si staccano spontaneamente nel bel mezzo di un viaggio, lasciandovi così privi dei vostri effetti personali una volta giunti a destinazione. Ma gli aeroporti hanno anche un’altra forma di identificazione, stavolta composta di quattro lettere, che è assegnata dall’ICAO, l’agenzia dell’ONU che sovrintende alle operazioni di aviazione civile in tutto il mondo. Delle quattro lettere, la prima identifica una parte del mondo, la seconda uno stato, la terza una regione aerea di quello stato, e la quarta è peculiare dell’aeroporto. Così, per esempio, LIRF sta per Europa Meridionale (L), Italia (I), regione di Roma (R), aeroporto di Fiumicino (F). Analogamente LFPG indica il Charles de Gaulle di Parigi, SBGR l’aeroporto Guarulhos di San Paolo, in Brasile, e via discorrendo. Pragmatici come al solito, gli americani si limitano ad aggiungere una K al nominativo IATA, quello di tre lettere, e il nostro JFK diventa così KJFK. E’ un sistema che non risponde ai criteri generali dettati dall’ICAO, ma raggiunge ugualmente lo scopo di identificare univocamente un aeroporto. Tra l’altro, il sistema ICAO a quattro lettere non è usato solo per gli aeroporti, ma anche per designare intere regioni aeree (LIRR è quella di Roma) e altre installazioni o enti aeronauticamente rilevanti, come centri di controllo, stazioni meteorologiche, etc. Questo fa sì che il sistema possa essere utilizzato (a differenza di quello IATA, che ha impiego esclusivamente commerciale) anche a scopi operativi. Tanto per fare un esempio, nella pianificazione di un volo sono queste sigle, accompagnate da un gruppo orario di quattro cifre a indicare l’orario previsto di passaggio da una zona di controllo all’altra. VABF1235, ad esempio, significa che il volo in questione prevede di entrare nello spazio aereo di Bombay alle ore 12:35 (ovviamente zulu), e un’informazione del genere assume notevole rilevanza sia ai fini del coordinamento del traffico aereo, sia a quelli (tocchiamo ferro) dell’organizzazione dei soccorsi per un aereo che non dovesse rispettare l’orario pianificato. Qual è il migliore dei due sistemi? Il pilota ha già, ovviamente, la sua risposta, ma forse bisognerebbe chiederlo ai passeggeri che nel lontano agosto del 1995 stavano aspettando a Monastir (codice IATA: MIR) i loro bagagli… bagagli che capitò di avvistarli ammucchiati in un angolo dell’aeroporto di Heraklion (codice IATA: HIR), a Creta. Un banale errore di lettura da parte di un operatore aeroportuale che non sarebbe mai stato possibile se si fossero usati i codici ICAO, rispettivamente DTMB e LGIR, dove quel DT indica inequivocabilmente un aeroporto tunisino, esattamente come LG ne individua uno greco.
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