Friuli, come fecero a ricostruire? Prima di tutto pensarono al lavoro e alle attività produttive
L’Aquila – Come risorse il Friuli dopo i forti terremoti di 27 anni fa? Badando prima di tutto alla ripresa delle attività produttive e del lavoro. La zona più colpita fu quella a nord di Udine, con epicentro il monte San Simeone situato tra i comuni di Trasaghis e Bordano nelle vicinanze di Osoppo e Gemona del Friuli e forza pari a 6,4 della scala Richter, e intensità pari al decimo grado della scala Mercalli. La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani e aree limitrofe in Slovenia (allora Jugoslavia) con danni, anche se molto più limitati, per una popolazione totale di circa 80.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 989 morti e oltre 45.000 senza tetto.
L’11 settembre 1976 la terra tremò di nuovo: due scosse alle 18:31 e alle 18:40 superano 7,5 e 8 gradi della scala Mercalli, del 6.1 della scala Richter. Il 15 settembre 1976 prima alle ore 5.00 circa e poi alle ore 11.30 si verificarono ulteriori scosse di oltre 10 gradi della scala Mercalli. Tutto quello che era rimasto ancora in piedi dopo il 6 maggio, crollò definitivamente. I comuni di Trasaghis, Bordano, Osoppo, Gemona del Friuli, Buja e Venzone furono completamente rasi al suolo, in quanto furono le località maggiormente colpite. La popolazione di quei comuni fu trasferita negli alberghi di Grado, Lignano Sabbiadoro, Jesolo e altre località marittime. Là furono ospitati anche i terremotati di altri comuni, rimasti senza alloggio.
Una devastazione spaventosa e diffusa sul territorio, e una situazione assai diversa da quella di oggi in Abruzzo.
Siamo andati a raccogliere informazioni su come andarono le cose, e su come si affrontò il disastro. Letti i giornali dell’epoca, con le dichiarazioni del governo e dei politici locali, e raccolte testimonianze da alcuni giornalisti e storici sulla rete, si può affermare che la ricostruzione avvenne secondo un progetto preciso e rivelatosi giusto: prima aziende e industrie, uffici e luoghi di lavoro, poi le case e alla fine monumenti, chiese, luoghi d’arte, musei, patrimonio edilizio non abitativo. L’intento, condiviso dagli amministratori regionali e locali, fu di puntare prima di tutto a rendere possibile la ripresa del lavoro, delle fonti di reddito per la popolazione, indotta in tal modo a tornare e a risiedere nuovamente. Agevolazioni fiscali e misure per attrarre i gangli produttivi furono risolutivi: in Friuli si puntò prima di tutto a garantire alla popolazione, oltre alla sicurezza immediata, il lavoro. Fu un piano essenzialmente affidato ad enti e istituzioni locali, che gestirono anche la ricostruzione, avvenuta successivamente e peraltro resa difficile da scosse che si ripetevano nei mesi, anche con forte intensità .
Crediamo che ricordarlo, o farlo sapere a chi lo ignora del tutto, anche nel mondo politico abruzzese e aquilano, sia utile e da condividere. Da noi, almeno fino ad oggi, pare si stia lavorando soprattutto per le case e le sistemazioni delle persone, e questo va bene. Ma ben poco si sta facendo e progettando per la ripresa produttiva: i commercianti ambulanti, ad esempio, hanno atteso e attendono da mesi semplicemente che il Comune consenta loro di insediarsi in una nuova e decente area di vendita. Quanto alla zona franca, per il momento è un progetto, anzi per molti solo un’aspettativa incerta e fumosa.
(Nella foto: Cividale del Friuli)
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