La vita divisa: cronaca interiore del sisma
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) - Dice Jean-Luc Godard: “La verità è che non esiste terrore che non sia mitigato da qualche grande idea morale”. em> Più che divisa la vita di molti aquilani è “sospesa”, cristallizzata fra il lavoro (a l’Aquila) e le notti (travagliate più dei giorni) nelle accoglienti, ma in fondo “estranee”, cittadine della costa. Scriveva il Parmigianino che “non ha appoggio chi non ha terra” e senza appoggio ci sentiamo, in questa fine d’Estate con l’aria sciroccosa portata via dai freddi venti del Nord e l’azzurro terso che cede il posto ai plumbei colori dell’incipiente inverno: un blu acido strusciato di biacca, che ingloba ogni cosa ed affligge i nostri umori. Non abbiamo più le nostre case, la città, gli amici, le consuetudini dolci e le dolci abitudini che ci aiutavano e ci pare di non avere più una vita. Anzi quella che miracolosamente abbiamo conservato, ci pare una “vita sospesa”, fra il luogo che amiamo e vediamo ferito a morte e ciò che ci recetta ma, in fondo, non ci appartiene. Mi ero ripromesso di scrivere questo pezzo in modo freddo, razionale, per spiegare ai rosetani (miei primi concittadini) perché fra loro non mi sento ora a casa, perché, dopo trenta anni, ora mi sento anche aquilano e con il cuore frantumato dalle macerie della città tradita dalla sua stessa terra. Ma la mia mente va sempre in direzioni che coinvolgono le emozioni e che rendono impossibile “uno sguardo a distanza”. Ciò che questa nuova, terribile situazione di figlio riaccolto ma amante di un’altra madre ha generato, mentre ogni giorno viaggio per 160 km, fra difficoltà di traffico, di varchi autostradali, di lavori in corso, è una riflessione sul “viaggio”, metafora del “percorso” che compiamo nella vita, allegoria del senso da dare alle cose, ad ogni singola cosa. Il significato di tutto ciò (cioè del percorso e del viaggio), è da ricercare soprattutto nell’importanza che ognuno di noi gli dà: la meta, l’obiettivo, se noi vogliamo può materializzarsi o sfuggire o essere perennemente inseguito. E noi come Ulisse, uomo poliedrico, complesso e dai connotati profondi, siamo quelli che devono molto “viaggiare”, per raggiungere, dopo vite sospese, una dimensione umana nuova, un “uomo nuovo”, non più espressione di forza, ma persona che trovi le risorse per superare le difficoltà e e non rinunci all’esperienza come strumento di conoscenza per ricercare il fondo di se stesso. In questo modo, in questo autunno anticipato, con colori bigi e freddissimi, comprendo che la nostalgia è un sentimento innovativo che non guarda al passato, perché è divenuta in noi, anche nostro malgrado, una malinconia umana resa possibile dalla coscienza di qualcosa d’altro, coscienza di un altrove che, in primo luogo, dobbiamo ricostruire dentro di noi. L’amore per la città distrutta ha generato rabbia e malcontento ed il viaggio verso quella città, ogni giorno, esercitato un fascino ambiguo ed estatico, simile a quello per il canto delle sirene avvertito da Ulisse legato, all’albero della propria nave, della propria disperazione. Ripensando a ciò che si è perso si dimentica ciò che abbiamo ancora: la forza, il coraggio, la dignità apprese e coltivate, qualità che se recuperate ci faranno “navigare” con sentimenti “innovativi”, generando una “nostalgia attiva” che dalle cose positive del passato sia capace di creare una condizione di” ri-costruzione”. Il ritorno, quindi, non è un approdo verso le “sicurezze”; l’uomo del ritorno trasforma la propria vita ed è animato da una nostalgia che mette in moto l’avventura e ne muove le azioni. Anche se la nostalgia fa star male perché ciò che ormai è passato non può più ritornare, esso può essere l’inizio di un nuovo viaggio proiettato nel futuro, una odissea dalla “doppia tensione”: da una parte la verso il “ritorno” e dall’altra incontro allimpulso di andare via verso l’ignoto per acquistare maggiore conoscenza. Così, accompagnato da questi pensieri, ricordando l’ardore appreso da ragazzo dai miei pescatori, mi proietto verso una “volontà di crescita “, quella della aquilanità migliore. Così la diacria Roseto-L’Aquila, si trasforma nell’equilibrio dinamico di una doppia nostalgia: nostalgia del passato e nostalgia del futuro e il viaggio sembra più lieve, la vita meno “sospesa”.
(Nella foto: Carlo Di Stanislao)
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