Chitarra e cinema per tutti noi
Scoppito – (di Carlo Di Stanislao) – Musica e cinema sono strettamente legati, tanto da ri-suonare nella intimità dello spettatore-ascoltatore, creando un dialogo subliminare prima, poi evidente, con se stessi e costringendolo, come sosteneva Kubrick, ad un confronto continuo con le sue maschere, ad una esplorazione parallela di un “altro da sé”, che lo abita profondamente. E’ con questa intima convinzione che ho accettato, come Lanterna Magica, di partecipare alla rassegna “Chitarra e Cinema”, partita il 3 dicembre scorso con un grande concerto del “Quartetto Leonardo” e che prosegue oggi, sempre all’auditorium Sonofi di Scoppito, con il duo voce e chitarra Stoyanova-Phillot, per continuare, nello stesso centro polifunzionale messo a disposizione dal comune, domenica 9 con il “Quintetto a Pizzico Aquilano”, proseguendo il 12 con una performance del giovane e talentuoso conterraneo Francesco Mancini e con conclusione giovedì 13, con inizio alle 17, con una serata in due parti: il saggio conclusivo degli allievi della accademia Aquilana della Chitarra (diretta dal maestro Agostino Valente) e la proiezione del mediometraggio di Linda Parente “La tana del Bianconiglio”, girato con un bassissimo budget nei luoghi del sisma due anni dopo il luttuoso evento ed accolto trionfalmente sia al Festival Internazionale del Cinema Europeo di Lecce (ad aprile, come evento speciale), che alla X edizione dell’Ischio Film Festiva, dove, ai primi di luglio, ha aperto la rassegna.
Un film onirico in cui la realtà entra progressivamente, una tragedia individuale che diviene emblema di un dramma collettivo e in cui è la capacità di esercitare la speranza l’arma vincente per non cadere in una mortifera depressione.
Un film dalle molte virtù e decisamente toccante, in cui il tema dell’altro ci riconduce verso noi stessi, a partire dalla nostra maschera nel suo ri-suonare, con una composizione cinematografica intricante, con un uso accorto dei piani sequenza e con uno smaliziato utilizzo di “simmetrie” geometriche giocate in una dimensione onirica, nell’esperienza di quella fascinazione in base alla quale lo spettatore non riesce più a distinguere il piano del sogno da quello del reale.
Ma è stata anche la maniera con cui è usata la colonna sonora, del giovane aquilano Fabrizio Mancinelli, a convincerci che la scelta era quella più giusta: una musica che non funge da supporto all’immagine, ma piuttosto è parte integrante della stessa struttura della trama e ci ricorda, come scriveva Boezio più di sette secoli fa, che “persona” deriva da per-sonare e solo le immagini capaci di “suonare” possono parlarci in modo non banale dei grandi drammi, individuali o collettivi, che ci riguardano.
Sarà molto interessante il 13 dicembre, discutere con l’autrice (presente alla proiezione), su questo ed altri argomenti, come, ad esempio, le difficoltà di scritture e realizzazione del film che, lo ricordiamo, lo scorso luglio ha vinto il primo premio nella sezione mediomatrix all’Etnaci Film Festival di Catania, perchè, come scritto nella motivazione: “affronta con struggente delicatezza una delle recenti tragedie dell’Italia contemporanea, penetrando con efficacia – attraverso il dramma individuale di un attore – nel dramma collettivo del terremoto dell’Aquila” e, impiegando un abilissimo montaggio diacronico fra scene ricostruite e l’inserimento di folgoranti immagini dal vero, “ha reso ancora più efficace l’accusa contro un ceto politico impotente e mendace”.
Il film, prodotto dalla Peperonitto di Avezzano con l’aiuto di Regione Veneto, Protezione Civile, Vigili del Fuoco e la partecipazione gratuita (in uno splendido cammeo) di Maria Grazia Cucinotta, è stato dedicato a Gianni Musy, morto nella fase di post-produzione.
Fra gli altri interpreti Massimo Lello,, Giancarlo Ratti, Blas Roca Rey, Gaia Benassi, Camilla Rosselli, Fabio Bussotti, Matteo Taranto, Monica Guazzini, Kastriot Shehi e Davide Dolores.
A pensarci ora, la storia mi pare concepita come il mito della caverna raccontato da Platone per bocca di Socrate, dove gli uomini incatenati in una caverna non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada, poiché ne percepiscono solo l’ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l’eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell’esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, l’uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell’abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l’uomo liberato non può ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.
Incatenarsi al dolore crea in ciascuno maschere ed ombre e solo alla luce abbagliante della speranza è possibile guardare al mondo in una prospettiva nuova ed insieme entusiasmante.
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