Vediamo quanto vuole cambiare il PD
Domenica 25, alle primarie, alle primarie. E’ il grido (non molto forte) che si leva a sinistra, tra volti rassicuranti di candidati (cinque) tra i quali quello bonario di Bersani, e quello birichino di Renzi. L’Italia assiste accigliata dai suoi guai alla prova di forza, e aspetta di sapere quanto davvero vuole cambiare il popolo del PD e dei suoi satelliti. Gli esperti, quelli che non ci beneficiano mai del loro silenzio, preconizzano una conferma di Bersani: il suo testone non ricco di fluenti chiome, le sue battute allegoriche (smacchiare il leopardo e così via, c’è da scompisciarsi dal ridere se si è di bocca buona…), il suo confortante accento emiliano, dovrebbero infondere pacatezza. Chi l’ha detto che in tanti vogliano una vera rottamazione? A molti fa comodo che i rottamandi restino dove sono: chi lascia la via vecchia per la nuova…
Ai renzisti incalliti, invece, sta bene cambiare, rottamare tutto ciò ciò che ha un passato, in base al semplice ragionamento “in 20 – 25 anni avete combinato solo guai, quindi andatevene…”. Terra terra, ma efficace. Chi sa cosa resterebbe se davvero rottamassimo tutti i politici che ci ronzano intorno da almeno una ventina di anni. Comunque, in queste primarie qualcosa di buono c’è. Si è capito nelle stanze dei bottoni che qualcosa e qualcuno vanno davvero riposti nell’armadio chiuso a chiave. E’ passato il principio: ad un certo punto della politica, basta, vadano a casa. E’ così negli USA, e così in Inghilterra. Vi risulta che Blair o Clinton siano ancora seduti in serpa da qualche parte? No, fanno conferenze, giocherellano qua e là , ma la politica gliel’hanno tolta. Lì è regola, qui è renzismo. Se il PD lo avesse capito in tempo, non avrebbe lasciato a Renzi la primogenitura di un’idea ovvia, facendogli in bel regalo comunque. La colla sotto i glutei ce l’hanno davvero in tanti. Troppi.
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