Sperare nei miracoli è già una sconfitta
Infuria, ed è comprensibile, la polemica sull’erogazione dei contributi alla ricostruzione, che diventerebbero da agevolati, diretti. Il timore è che il cambiamento porterebbe solo ulteriore farragine, con complicazioni inenarrabili, conoscendo la burocrazia e l’inefficienza dei meccanismi (ora in gran parte affidati ai comuni), il prolungarsi di ritardi, il debordare di difficoltà economiche soprattutto per le imprese. E’ in sostanza un nuovo pacco-sorpresa che contiene solo altri motivi di rinvio e di ritardo della ricostruzione. E patemi d’animo a non finire.
C’è chi esorta alla ribellione, chi auspica coordinate ed efficaci azioni – naturalmente più complicate – nei confronti del Governo e dei vertici romani, ormai notoriamente ritenuti “nemici” dell’Aquila e del cratere. C’è chi (sempre più numerosi) perde il residuo di pazienza e fiducia, la riserva di tolleranza, e molla gli ormeggi. Se ne va. Rinuncia. Si defila, in cerca di una nuova vita altrove.
Il tragico, in questa straziante vicenda che nel 2013 compirà 4 anni, è che L’Aquila distrutta chiedeva solo di poter rinascere, con l’aiuto (e non con l’ostilità ) dello Stato. Implorava unicamente di poter vivere una qualche vita, piena di stenti e problemi, ma una vita. A quanto pare, le risposte governative sono soltanto formali: ci sono tanti soldi, state tranquilli, L’Aquila tornerà . Gli ultimi problemi (i contributi, appunto) dicono invece che aumentano le difficoltà , le complicazioni. Forse è tutto un abbaglio, forse gli aquilani stanchi e sfibrati vedono solo nero. Forse sbagliano, e sbagliamo tutti. Sarà però difficile convincersene. Come non mai, la gente spera nel proprio errore di valutazione. E aspetta che avvenga qualcosa, una specie di miracolo. Come l’acqua che raccontano sia sgorgata a Loudes nelle mani di Bernadette. Ma quando un popolo ha bisogno di miracoli ed eroi per tenersi in vita, è già morto.
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