Dei santi e dei morti
(di Cinzia Maria Rossi, foto) – Se devo dire che aspetto un giorno all’anno per pensare ai miei morti, dico una bugia. Io, i miei morti, li porto dentro di me ogni giorno e non c’è giorno che io non pensi a loro. Non ho bisogno di una lapide al cimitero né di una candela, non ho bisogno di nulla, nemmeno di fotografie. Ho le immagini dei bei giorni trascorsi insieme. Questo mi basta. Anzi, mi infastidisco quando riguardo le foto di momenti trascorsi, mi disturba la memoria dei tempi andati. Mi commuovo a pensare l’ultimo incontro con la mia più cara amica Emma. Di lei non ho nessuna immagine e nessun oggetto. Emma è morta di leucemia fulminante, non ho nemmeno saputo subito che lei non c’era più. La madre non ha ritenuto avvisare nessuno né mettere in giro per la città quei tristi avvisi, né sui giornali. Ridurre una tale perdita in una pagina di necrologi, una così assurda perdita non può stare né su un muro né dentro una pagina.
Emma è morta nel fiore degli anni, ma mi piace ricordarla com’era l’ultima estate scapestrata che abbiamo trascorso insieme, oppure a spasso per Roma quando studiavamo all’Università. Lei pacata, studiosa, giudiziosa…e non lo dico solo perché è morta, mentre io ero la confusionaria “caciarona”. Una senza l’altra non poteva stare. La vita ci ha diviso solo un po’ prima che lo facesse la morte. Io vinsi un concorso e lei rimase a studiare. Io, presa dall’egoismo dei miei nuovi impegni, con la sicurezza che può dare il sapere di essere amati comunque vada, non le telefonai per parecchio tempo… Poi la vidi mentre dovevo prendere il treno per Roma, mentre lei ne stava tornando… Da quel giorno ho odiato le stazioni ferroviarie. Sulla banchina ci siamo abbracciate forte forte, mentre il Capo stazione fischiava – io avevo fretta – le dissi le novità, ma guardandola bene in viso, notai un pallore inusuale e una magrezza altrettanto strana (noi ci dicevamo sempre che il nostro epitaffio sarebbe stato: qui giace, finalmente magra, la cara Cinzia e/o Emma, che tanto fece ma solo ora riuscì).
Il nostro humor era sempre molto irriverente e tetro, con la morte scherzavamo spesso. Solo come possono fare i giovani, che la temono e la scherniscono allo stesso tempo. La morte di un giovane fa male. La mancanza di una persona cara fa sempre male. Ma noi non volevamo pensare a brutte cose e vivevamo la nostra vita spensierata. Ora che ci rifletto, credo che lei iniziò a morire dalla terribile perdita che accusò con la morte del fratello tanto amato. Lui era bellissimo, abbastanza scapestrato, ed era l’idolo delle adolescenti savonesi: biondo, occhi azzurri , aveva quel certo non so che e lo sguardo di Marlon Brando in”Fronte del porto”. Ecco, anche lui avrebbe avuto tutte le carte in regola per vivere una grande vita. Invece no. Cadde da un’impalcatura senza protezioni, mentre dava una mano all’impresa di un amico di famiglia, che lo aveva assunto allo scopo di fargli guadagnare un po’ di soldi per andare all’Università. Non so come fece la madre, una conosciutissima professoressa, a sopravvivere.
Ecco, io Emma l’ho ricordata così, con un breve racconto. La madre, sulla tomba dei figli, ha già messo la sua fotografia e se volete vederla sta là, al cimitero di Zinola. Con questa storia, mi chiedo, quali sono i santi e quali i morti che bisogna ricordare una volta all’anno? E cosa c’è di male a “esorcizzare” la paura della morte … festeggiando con un carnevale macabro e rendendo ridicoli i mostri che ci attanagliano la mente e la vita? E non critico né giudico chi non fa come me!
(cinziamariarossi@gmail.com)
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