E’ tempo di zafferano
L’Aquila – (di Raffaele Alloggia) – I bulbi messi a dimora nel mese di agosto, da alcuni giorni hanno dato inizio all’antico rito che nel nostro territorio si ripete da secoli, anche se oggi la produzione è ridotta al lumicino. La coltivazione dello zafferano entrò in Europa dopo l’invasione Araba della Spagna nel 961, ma ben presto si propagò anche in Italia, nel nostro territorio dall’altipiano dei Navelli si espanse in quasi tutta la provincia dell’Aquila. Nel XIII secolo, la nostra giovane Città, seppe trovare nello zafferano, assieme alla produzione di un’ottima lana, il perno della propria economia, istaurando, come noto, un fiorente commercio con Firenze, Milano, Venezia e altre città Europee.
Così ci racconta Buccio di Ranallo nella sua “Cronica” nel 1360, ‘Erano tre faccende in quilli tempi da fare, et tucte necessarie, che non se poteano innutiare, de vennegnare le vigne, pistare et recare, sfiorare la soffrana, arare et seminare.’ Le gabelle imposte sullo zafferano, permisero nel secolo successivo di edificare le chiese di San Berardino e quella di San Domenico, indice della prosperità a cui era giunta l’Aquila.
Poi nel 1818, si legge in un documento della famiglia Ciolina che commerciava questo “oro rosso,” ‘la coltivazione dello zafferano è diminuita a 4.000 Kg, si pratica ancora quasi unicamente nel circondario dell’Aquila.’ Nel primo decennio del secolo scorso, la produzione nell’Aquilano scende a soli 195 kg. La famiglia Ciolina, fino agli anni 60 del secolo scorso, oltre al commercio, coltivava lo zafferano nella sua tenuta sita tra Bazzano e Sant’Elia e rastrellava la produzione della zona e quindi anche quello prodotto a Paganica all’epoca coltivato da moltissime famiglie, la famosa “soffrana.”Gli anziani del paese, raccontano che dalla metà di ottobre, primi di novembre quando era tempo di vendemmia, una schiera di braccianti, uomini e donne si incamminavano a piedi da Paganica fino alla proprietà dei Ciolina, arrivati nei campi raccoglievano prima i fiori dello zafferano e poi quando la rugiada si era asciugata, iniziavano a vendemmiare. Alla sera dopo una giornata di lavoro, le donne si sedevano intorno ad un lungo tavolo dove venivano svuotai i cesti dei fiori e sotto la fioca luce dei lumi, fino a tarda ora, “sfioravano la “soffrana.”
Dopo aver finito di sfiorare, per poter essere sul posto di lavoro al mattino successivo di buon’ora, molte giovani donne pernottavano in alcuni locali del casale, su giacigli di paglia improvvisati. La fiera di Ognissanti ha radici lontane, la cui più antica segnalazione risale al 1678, sul libro mastro della Parrocchia. Era questa l’occasione per commerciare lo zafferano insieme ad altri prodotti come mandorle, lana, pelli conce e fagioli. Con Decreto Reale del 17 gennaio 1826, si autorizzava il mercato di questi prodotti, nella piazza di Paganica, mentre la fiera degli animali restava nelle aie del rione di San’Antonio. Dal ricavato della vendita di questi prodotti, si acquistavano, come prima cosa, le scarpe per tutta la famiglia, in previsione dell’arrivo dell’inverno. Lo zafferano nel corso dei secoli, nel nostro territorio ha avuto grande importanza, credo, e su questo sono in linea con lo storico aquilano Alessandro Clementi , che in una crisi come quella che stiamo attraversando, insieme all’allevamento e la produzione di altri prodotti di nicchia della nostra zona, possano essere un valido aiuto per le famiglie che si trovano in forte sofferenza, oltre che per la forte crisi, anche per il disastroso terremoto del 6 aprile 2009. In Italia, molti giovani vanno in controtendenza, avvicinandosi all’agricoltura e all’allevamento, occorre che vengano aiutati e i pochi terreni coltivabili rimasti vengano protetti dalla cementificazione.
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