Due sentenze


(di Carlo Di Stanislao) – Nello scorso fine settimana due sentenza hanno occupato il centro della cronaca: la condanna (la prima dopo 28 processi) a Berlusconi e l’ergastolo a Parolisi, unico accusato del delitto della moglie Melania Rea.
Per Berlusconi un autentico smacco, avvenuto a sei anni dall’inizio del processo e a undici dall’inizio delle indagini, con lavori fermati per tre volte, tra elezioni del 2008, Lodo Alfano e legittimo impedimento, ma infine giunto a conclusione, con undici imputati, altre a lui, accusati di riciclaggio, falso in bilancio, appropriazione indebita e frode fiscale.
E nonostante la prescrizione abbia fatto cadere molti capi d’accusa, alla fine Berlusconi e gli altri (ma non Gonfalonieri), sono stati condannati per frode e riciclaggio e l’ex-premier ha avuto una pena di 4 anni di carcere (ridotti ad uno) e 5 di interdizione dai pubblici uffici, facendo insorgere tutto il Pdl con Cicchitto che ha parlato di “omicidio politico” e ri-motivando il protagonista che, dopo alcune ore di silenzio, ha subito dichiarato che si impegnerà maggiormente in campagna elettorale, per riformare il sistema giudiziario composto, a suo dire (la cosa non è certo nuovo) da “giudici rossi che mi braccano da anni e non abbandonano la preda”.
Molto probabilmente, la questione giudiziaria in sé finirà per dissolversi lentamente tra gli ulteriori gradi di giudizio (non dimentichiamo che Berlusconi è stato condannato in primo grado altre tre volte per poi essere assolto o prescritto nel corso degli iter processuali).
Rimane però la questione politica, vale a dire la stessa questione sorta nel 1994, quando decise di scendere in campo, sollevando molte perplessità su come avrebbe potuto convivere con l’evidente “conflitto d’interessi” che la sua attività rendeva palese e a cui i non ha mai voluto dare una soluzione netta e definitiva.
L’esito di questo processo, in fondo, è solo l’ultimo anello di una catena che ha origine in quel “peccato originale” mai risolto.
A prescindere, infatti, da ogni valutazione di tipo giuridico e da ogni simpatia politica, esiste ancora più di qualche italiano (compresi quindi gli elettori di centro-destra) che potrebbe credere all’affermazione difensiva di Berlusconi, secondo cui quell’accusa non regge, in quanto “in quegli anni ero premier e non mi occupavo delle mie aziende. Come potevo commettere quelle frodi?”.
Insomma, come scrive Cammarano sul Corriere Adriatico, ci sono forse ancora molti connazionali disposti a credere in lui ed ora, dopo la condanna, sono più che mai convinti che Berlusconi è stato massacrato proprio perché imprenditore e non politico (tipologia anzi da lui disprezzata); anzi un bravissimo imprenditore prestato alla politica, per sistemare, con metodi aziendali, un Paese arretrato.
E convinti, nonostante tutto, che l’abbia fatto così bene che, probabilmente, ha finito per convincere pure i giudici, i quali ritengono improbabile che un uomo con quel profilo si sia disinteressato del cuore della sua attività pubblica: Mediaset.
Ma torniamo alla cronaca: dopo la condanna Berlusconi dichiarato (o fatto intendere), che ora, nonostante l’uscita di scena di pochi giorni fa, è costretto a ricandidarsi, perché l’Italia è in mano alla dittatura dei giudici di sinistra e bisogna riformare la giustizia.
Sabato, con abbondanza di particolari, in un lungo discorso a villa Gernetto, sede della Fondazione Luigi Berlusconi, che ora vuole costruire (con alla giuda Guido Bertolaso) ospedali nei paesi poveri; il Cavaliere ha fatto chiaramente capire che vuole rimanere in campo e dettare la linea, i cui cardini sono i soliti: basta tasse, via l’Imu e mai più un’imposta sulla casa, riforma della giustizia e della Costituzione con più poteri al premier, infine, stretta sulle intercettazioni.
E per dare ancor più consistenza al suo rientro, ha anche contestato, per la prima volta apertamente, il governo Monti che ha provocato, a suo dire, una spirale recessiva ed una grave minaccia alla ripresa.
Ha detto chiaro che: “ Nei prossimi giorni esamineremo la situazione e decideremo se sia meglio togliere immediatamente la fiducia o conservarla dato l’arrivo delle elezioni”; spiazzando così che le “colombe” del suo partito e lo stesso segretario Angelino Alfano e minando il senso e la portata delle primarie del Pdl, in cui molti vedevano l’unica possibilità di rifondare e rilanciare un partito in calo abissale di consensi.
E ha fatto anche peggio, chiudendo alla possibilità di un’alleanza tra Alfano e Casini, ipotizzabile solo in presenza di un suo effettivo passo indietro e, allo stesso tempo, chiudendo con possibili alleanze con Montezemolo che, senza lui, forse si sarebbe aperto al dialogo con alcune parti del Pdl.
E siccome plaude, fra il silenzio di Casini e Chiesa ed i duri moniti di Fini (che dice: “Le parole di Berlusconi sono il manifesto politico del populismo antieuropeo e autoritario”), solo Maroni; si delinea di nuovo l’antica, santa-allenza fra Pdl e Lega Nord.
Mentre Vespa si stropiccia le mani e pensa allo share di future trasmissioni con lavagne e nuovi patti con gli italiani, ha ragione, su Repubblica, Filippo Ceccarelli, che dice che anche se non siamo nel ’94 ed il Cavaliere è certamente invecchiato, il rischio di un capovolgimento dei giochi esiste ed è concreto, dal momento che in realtà in Italia non si governa, ma si regna e lui è imbattibile nel delinearsi re di una realtà fatta di ipnosi e falsi sogni, costruita con la ideologia pubblicitaria di cui è ancora maestro insuperato ed ineffabile burrattinaio.
Certo cambierà qualche nome e qualche frequentazione (tanto Mara Carfagna si è dolorosamente separata; la rossa Brambilla ha problemi con il canile del suo paese; Nicole Minetti è in uscita dalla regione; De Laurentis non produce più cinepanettoni; Miss Italia recupera il costume intero; Sara Tommasi è sulla via della conversione; Lele Mora ha perso cinquanta chili e coltiva piante da giardino; Ruby è mamma; Noemi ha mutato aspetto; l’avvocato Ghedini minaccia azioni legali contro l’Ape Regina; Lavitola è in carcere; Bisignani ha patteggiato; don Verzè è morto; Ligresti è nelle peste,; Fede fonda movimenti a sfondo senile; Signorini loda il Papa e la sobrietà); ma non muterà la sostanza perché sa, che in fondo, è questa che piace agli italiani e che, alle urne, paga.
Quegli stessi italiani che hanno fatto raddoppiare le vendite del settimanale Chi, grazie al servizio su l’ex fidanzata del Batman, a nome Samantha Weruska Reali, ritratta con le borse di lusso -Chanel, Vuitton, Gucci – ricevute dal suo Francone, con tanto di didascalia: “Sono pronta a restituirle”; facendo immagginare al solito “abboccone”, un moralità diversa e molto più seria, di quella che si aggira fra teste di maiali e arresti di spin doctor, impicci di Formigoni e degradi di Polverini, qualcosa che Apicella commenterebbe con la canzone “Momento amaro”; facendo intendere che solo una parte è marcia e tutto il resto è sano e specchiato.
Intanto, i francesi, i tedeschi e Obama, anche se stretto fra uragani in arrivo a New York e campagna elettorale, non hanno perso occasione di preoccuparsi di un eventuale suo ritorno e mentre da noi infuriava la grottesca saga battesimale su “Italia pulita “, “Bella Italia”, o forse “Grande Italia”, che però sarebbe meglio “Magica Italia”, che probabilmente era il nome di una pizzeria frequentata da Feltri; sono davvero colpiti da quanta poca acume e poca memoria abbia questo nostro Paese.
Avverto tutti quelli che intendono essere avvertiti, che, anche se si dirà il contrario, Berlusconi è sempre lo stesso e per di più è anche invecchiato, come dimostra, ad esempio, la caduta mentre faceva jogging, nascosta per tre giorni, con l’interminabile spiegazione del fisioterapista che assicurava che tutto andava bene, tutto era a posto; ma col paziente che volava in Africa, da Briatore, quello stesso che, parlando di lui con l’amica Santanchè, si metteva le mani nei capelli, dicendone di cotte e di crude.
Berlusconi è lo stesso ed invariato rimane il suo ambiente.
Passando alla seconda sentenza della’ultimo fine settimana, si dice amareggiato l’avvocato di Parolisi, riconosciuto colpevole di omicidio premedito e condannato all’ergastolo per l’assassinio della moglie Melania Rea, uccisa con 35 coltellate il 18 aprile 2011, a Colle San Marco, in provincia di Ascoli Piceno.
Dopo oltre tre ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado ha accolto anche le richieste accessorie, con ergastolo comminato per omicidio pluriaggravato dalla minorata difesa, vilipendio e deturpamento di cadavere ed interdizione perpetua dai pubblici uffici e della potestà genitoriale, con la piccolissima figlia affidata ai nonni ed una provvisionale di due milioni di euro: un milione a favore della figlia e 500mila euro a testa per la madre e il padre di Melania.
Dopo la sentenza Parolisi ha imprecato più volte e protestato ancora la sua innocenza, poi si è chiuso in un silenzio assoluto e ostinato.
I suoi avvocati di i hanno già dichiarato il ricorso in appello, mentre, fra i vari commenti, spicca quello di Angelo Flaiani, il sindaco di Folignano, il paese dove il caporalmaggiore viveva con moglie e figlia, che ha detto: “Dal punto di vista della sentenza era quello che tutti pensavano, non c’è sorpresa. Stupisce eventualmente l’ergastolo, ma evidentemente il giudice ha riconosciuto che c’erano gli estremi per una pena così grave. Faccio i complimenti a chi ha svolto le indagini sia ad Ascoli che a Teramo. Fin dall’inizio sono andate per il verso giusto”.
Ma, in definitiva, ha ragione Salvatore Rea, padre di Melania, che durante una pausa dell’ultima udienza, ha dichiarato amaro: “non sarà una vittoria per nessuno, perché questo incubo durerà per sempre”.
Walter Biscotti, avvocato di Parolisi, anche in tv, a Quarto Grado, ha affermato che non reputa giusta la sentenza, perché essa scaturisce da “una serie di gravi mancanze nel quadro accusatorio”, mentre su Affaritaliani lo psichiatra Meluzzi rende questa vicenda ancora più sinistra e melanconica, affermando che Parolisi è stato condannato non per le prove acquisite, ma perché “e’ bugiardo, infedele e non e’ stato molto intelligente nella condotta delle vicende processuali”; aggiungendo che la sua condanna deriva dal fatto che è “antipatico” e non già dal quadro probatorio emerso.
Ed allora, siccome Meluzzi lo stimo, ho riflettuto per tutto il fine settimana sulla sua affermazione e cercato di cacciarmi dalla testa l’idea che davvero siamo così poco maturi, in Italia, di giudicare i fatti dalla simpatia o antipatia dei vari protagonisti, dimenticandoci che la storia non è mai l’assunto di un teorema, ma un procedere deterministico di avvenimenti.
Ed è un fatto che, con i 18 anni di berlusconismo, lo stile italiano di irridere le regole e badare solo al proprio tornaconto è decisamente peggiorato e adesso più che mai, da noi ed in ogni regione, si ruba e si evade, non si crea ricchezza e si mette spesso a rischio la stessa democrazia, facendo in modo che i fatti costituiscono cassa di risonanza per qualunquismi populistici e pericolosi, sia nuovi che resuscitati dal passato.
Il fatto è che, da noi, passa per individuo coerente e specchiato e lontano da incidenti ocommistiopni col potere, uno come Marco Pannella, che, a ben vedere (e come ricostruisce Dagospia su: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-marco-pannella-che-si-presenta-alle-riunioni-mano-nella-mano-con-lultimo-dei-40464.htm) nei confronti dei potenti e del potere ha sempre adottato una strategia antica e micidiale: attacchi ufficiali ma, contemporaneamente, grandi accordi in segreto, con reiterate, ondivaghe e un torbide vicende, con Massimo D’Alema, nelle elezioni a Presidente della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro, col primo governo Prodi, fino ad alcuni estremi e recenti tentativi di salvataggio di Berlusconi.


29 Ottobre 2012

Categoria : Cronaca
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.