Ricostruzione, magari ci fosse Celestino
Bene che ci sia a L’Aquila un ufficio pubblico importante, come la sede dell’Agenzia delle Entrate. Bene che tanto tempo fa sia stato ricostruito il palazzo dell’Anas. Ottimo che sia stata inaugurata la sede del polo umanistico dell’Università , che si pensi a rimettere a posto la prefettura, che rispuntino qua e là delle chiese, che si stia lavorando al castello, che esista l’auditorium di Renzo Piano, o che si rialzino nelle amputate prospettive della città gli archi di Porta Napoli e Porta Castello. Spesso è incoraggiante ricominciare qualcosa dai simboli, dalle presenze dello Stato.
E’ male, viceversa, che non si ricostruiscano case e palazzi, ovvero i luoghi in cui la gente vive, si radica, o si illude di radicarsi senza pensare mai ai terremoti. E’ rattristante che, fino ad oggi, tre anni e mezzo dal sisma, il centro cittadino non ci sia. E che ne sia lontano, inimmaginabile il ritorno. C’è molto di sbagliato in tutta la vicenda del terremoto, c’è un conto che non torna e c’è anche la concreta prospettiva che le vaghe, balbettanti promesse del sindaco e dei politici sull’inizio della ricostruzione (ormai si parla di metà del 2013…), verranno stroncate da un fatto molto semplice: il blocco del concorsone per via dei ricorsi. Dunque, rinvii sine die, chi sa come e chi sa quando, e chi sa se…
La storia dice che la basilica di Collemaggio fu costruita in 12 anni, più di 700 anni fa, per volontà di un frate eremita povero ma ascoltato, autorevole quanto umile, capace di attirare e fissare persino l’attenzione dei cavalieri Templari, che forse pagarono le spese. Chi sa che Celestino non si muova a compassione e ci metta le mani. Sarebbe una manna. Un vero perdono a questa combriccola di incapaci che scorrazza sugli scenari aquilani, per ora sconquassati.
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