“Gestione verticistica del dopo terremoto”


L’Aquila – Scrive Pina Lauria: “Le affermazioni del Capo Dipartimento della Protezione Civile in merito al mancato attivismo della comunità aquilana, seguono, di qualche giorno, le dichiarazioni del Presidente della Repubblica e dell’architetto Renzo Piano, pronunciate da entrambi nel corso dell’inaugurazione dell’Auditorium: priorità non più rinviabile della ricostruzione del centro storico e giudizio negativo del progetto c.a.s.e.
Le stesse affermazioni, quest’ultime, che cittadine e cittadini aquilani hanno pronunciato già all’indomani della tragedia, convinti che tali scelte avrebbero determinato, come conseguenze non più o difficilmente riparabili, l’aggressione al territorio ma soprattutto la dispersione della popolazione e la perdita di identità, con l’azzeramento delle relazioni sociali, familiari, territoriali: in breve, l’annichilimento di una comunità portatrice di valori collettivi e di memoria civile/culturale. Ma siamo stati inascoltati e condannati come ingrati.
La diaspora, scientemente voluta e purtroppo avallata, è stato il fondamento che ha retto la costruzione della gestione verticistica e affarista del post terremoto, escludendo dal confronto e dalla partecipazione i cittadini, considerati come corpi estranei.
Le modalità seguite per l’assegnazione degli alloggi i cittadini le hanno conosciute, e solo in parte, nel corso del passaggio delle consegne. Leggendo i documenti in seguito pubblicati, si è potuto leggere, ad esempio, che quasi tutti gli insediamenti del progetto c.a.s.e erano aree vincolate per gli abitanti delle frazioni: di conseguenza, l’alloggio doveva essere assegnato necessariamente in quell’insediamento, indipendentemente dai componenti il nucleo familiare. Tutto ciò, giustamente, nel rispetto del principio della territorialità che viene definito, nelle OPCM e nelle ordinanze sindacali, come valore condiviso e degno di tutela, a garanzia del mantenimento delle relazioni sociali, familiari, culturali.
Tutela che non è stata presa affatto in considerazione per gli abitanti del centro storico e dei quartieri immediatamente fuori le mura, dispersi tra i 19 insediamenti: chi, in tempi ormai lontani, ha sollevato questa problematica, è stato accusato di “fare campanilismo” e di non avere la visione della “città territorio”! Ritengo che tutti i cittadini, soprattutto quando colpiti da eventi disastrosi, debbano essere tutelati attraverso questo principio che ha valore internazionale, riconosciuto dalle massime organizzazioni poste a garanzia dei diritti inalienabili delle persone, particolarmente quando l’autodifesa si indebolisce.
Anche questa diaspora del centro storico e dei quartieri, con il conseguente azzeramento delle stratificazioni relazionali, civili e culturali, è stato l’ulteriore tassello per ritardarne la ricostruzione: il cuore della città chiuso ai suoi abitanti, alloggiati “temporaneamente” in un raggio distante 30 chilometri dalle loro case, inaccessibile ai cittadini, per la quasi totalità ancora zona rossa. Una identità da rendere lontana, sbiadita, che è ancora concesso possa appartenere alle singole persone, ai sopravvissuti, fino a quando e se riusciranno a resistere.
Sequestrare la città e ogni voce di dissenso; il metodo sperimentato è stato quello di non informare, di quasi azzerare il livello di democrazia nei mesi immediatamente successivi alla tragedia, di sentirti “ospite” nelle tendopoli, di essere escluso da ogni scelta e dal processo di ricostruzione; infine, di colpire 70 aquilani per “educarne” 70 mila: colpirli, con avvisi di garanzia ed oggi con i primi rinvii a giudizio, nella loro dignità, nel loro dolore, nella loro legittima indignazione; continuare a colpirli con affermazioni che sembrano essere più da teoria dell’evoluzione che da processi partecipativi che si ha il dovere di favorire e porre in essere, è l’epilogo, spero, di una fase che è passata sulla pelle dei terremotati aquilani, mai ascoltati, sempre ingrati, alcuni cialtroni (quattro, per l’esattezza), settanta da processare.
Vorrei dire al Dr. Gabrielli che i terremotati emiliani e la popolazione emiliana assistita, che ad oggi risulta essere di 2.994 persone, hanno fatto tesoro delle modalità con le quali, a L’Aquila, è stato gestito, e per tanti aspetti ancora gestito, il post-terremoto. Noi aquilani, comunque giudicati, abbiamo regalato un patrimonio inestimabile. Ognuno di noi, tanti, pochi, ingrati, cialtroni, denunciati, rinviati a giudizio, sequestrati insieme con il sequestro della città (e delle carriole), indignati, sofferenti/depressi, ieri e oggi ignavi, silenti, sarà comunque il lievito dal quale potrà crescere il pane. Gli aquilani non hanno alcun bisogno di frasi e giudizi ad effetto, che hanno come unico obiettivo quello da far “parlare di altro” per distogliere attenzione, energie ed intelligenze da indirizzare alle soluzioni non più rinviabili per la rinascita complessiva della città, a fronte di una ricostruzione, materiale e sociale, lenta, lontana per il centro storico, ingabbiata e puntellata nei meandri di una normativa confusa e contraddittoria, di uno scontro tra poteri, con i cittadini come ostaggi e incolpevoli vittime”.


17 Ottobre 2012

Categoria : Cronaca
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