Franco Gabrielli? Anche lui è lo Stato
“Ho sentito il terremoto a Roma e mi sono precipitato a L’Aquila”. E’ questo che ci disse in un’intervista tv Franco Gabrielli, nel 2009 da alcuni mesi prefetto dell’Aquila. Gabrielli era, ed è, parte significativa dello Stato. Come tale, e grazie alla viva esperienza vissuta dopo il sisma, non avrebbe dovuto fare paragoni tra gli emiliani e gli aquilani. Inopportuni. Arroganti.
Dovrebbe sapere che la distruzione dell’Aquila (che lui vide dal vivo, e visse senza intermediari) fu un evento senza precedenti dal 1908 ad oggi. Dovrebbe sapere che fu colpita un’area già profondamente provata da crisi e recessione.
Dovrebbe sapere che il Governo edificò migliaia di case “provvisorie”, a prezzi molto elevati (tuttto da chiarire, ma non lo sarà mai), ma non diede inizio alla ricostruzione della città , che ancora non c’è ed è lontana. Il blocco del concorsone, ormai quasi certo, allungherà i tempi: i pasticci si perpetuano, ed è sempre lo Stato (di cui Gabrielli fa parte) a causarli. Dovrebbe infine sapere, Gabrielli, che aver accentrato (da parte del Governo) poteri e iniziative, non ha portato frutti, ma solo allungato i tempi. Dovrebbe sapere che le autorità locali (sicuramente cariche anche loro di responsabilità e colpe, ma non di tutte le colpe) hanno perso i veri poteri decisionali, a cominciare dal commissario Chiodi. Mani legate a tutti. Ma non per fare meglio: per non fare nulla.
Tutto è avvenuto a Roma. L’Aquila e le sue autorità vanno accusate (ma Gabrielli non lo ha fatto) di non aver saputo reagire riappropriandosi di poteri e funzioni. Non difendiamo nessuno, ben sapendo che la ragione non sta mai da una sola parte: gli aquilani – compresi i loro politici – hanno sicuramente di che rimproverarsi. Ma, poco gentile Gabrielli, provi lei a non sbagliare nulla, a essere perfetto, di fronte alla rovina totale di un’intera area di 100.000 abitanti. Da capo della Protezione civile, dovrebbe esserne consapevole. Una parola di meno, un paragone di meno, e pensi al suo difficile lavoro. Ma, sia gentile come non lo è stato ieri, non torni a L’Aquila
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