Concorsone, il fallimento di un paese
(di Flavio Colacito, professore) – Il Presidente del Consiglio Mario Monti , all’indomani del suo insediamento, ebbero a sottolineare che il lavoro a tempo indeterminato era noioso e che bisognava abituarsi all’idea che un “posto” non è per tutta la vita, un’affermazione che suscitò perplessità e commenti un po’ su tutti gli organi d’informazione. Oggi, riflettendo sul “concorsone” per la ricostruzione in Abruzzo, appaiono paradossali le parole di Monti e di tutti e detrattori del tempo indeterminato nel pubblico impiego se si pensa all’esercito di ben 36.726 domande per 300 posti “sicuri”, quelli insomma che dovrebbero essere “noiosi” e che forse lo saranno pure per chi un lavoro in questi tempi di crisi ce l’ha, tanto per parlare di qualcosa con la pancia piena. Sarà che l’Italia stenta ad adottare una mentalità flessibile in tema lavorativo, sarà che gli italiani ragionano ancora con la logica degli anni sessanta, sarà che il lavoro pubblico per alcuni è meno stressante, rimane il fatto che il nostro bel paese stenta a riprendersi in campo economico ed occupazionale , visto che il 35,9 % dei giovani tra i 15 e i 34 anni è senza occupazione, con un tasso generale di disoccupazione pari al 9,8 % : questi dati pongono l’Italia agli ultimi posti in Europa assieme ai soliti noti, ovvero Portogallo,Grecia, Spagna.
Il “concorsone” sembrerebbe essere a questo punto la famosa “oasi” nel deserto generale che caratterizza il mercato del lavoro, soprattutto se parliamo del settore pubblico che in base alle diverse finanziarie ha subito una contrazione evidente negli ultimi anni, ma con esso si deve contemporaneamente evidenziare il grado di difficoltà che i giovani (e non solo) si trovano ad affrontare, rinviando decisioni importanti come il farsi una famiglia, sottoscrivere mutui, contribuire attivamente al ricambio generazionale e all’esercizio delle professionalità acquisite dopo anni di studio. Evidente è che se nel 2012 il “concorsone” attira un esercito di concorrenti da guinness dei primati, qualcosa nel sistema Italia non funziona, tanto più se tra i 14 profili professionali messi a bando vi sono in buona parte ingegneri, architetti, periti tecnici, tutte figure tradizionalmente considerate una volta privilegiate nel trovare un impiego che in questa occasione si sono riversate in massa nella speranza di vincere un posto pubblico a tempo indeterminato, lo stesso sogno da decenni per le passate generazioni. L’Italia è ferma e il “concorsone” ne è l’emblema, con tutte le mille polemiche che lo stanno accompagnando, assieme alle altrettante ingiustizie di fondo contenute nel bando oggetto di comprensibili ricorsi, di speranze tradite, di professionalità umiliate da una burocrazia cieca che altrettanto ciecamente colpisce le tante persone alla ricerca di un’occasione di lavoro irripetibile. Il governo dei tecnici ha tessuto la sua tela attorno al “caso” L’Aquila volendo dimostrare che l’Italia, oltre ad essere credibile in Europa, è anche virtuosa nel creare occupazione, utilizzando lo scenario del terremoto non tanto per risollevare le sorti del lavoro nel cratere tutelando chi ci vive quotidianamente, quanto più che altro per sopperire alle carenze di organico ministeriali, visto che 100 posti sono appannaggio del Ministero delle Infrastrutture da dare in “prestito” alle amministrazioni locali, senza contare la “beffa” delle preselezioni per chi ha già prestato servizio nella ricostruzione a vario titolo. A ben guardare queste selezioni sono lo specchio di una realtà traballante dove ci sono più ombre che luci, uno spaccato dei nostri tempi dove è leggibile il fallimento di una politica di governo che ha indebolito il paese impoverendolo, un terreno di scontro per arrivare ad ottenere un posto al sole tra gente disperata, disposta a tutto e sempre più avanti negli anni, spesso oltre la soglia dei quarant’anni. Se fossimo vissuti in uno nazione normale, molti dei tanti sognatori del posto fisso avrebbero avuto altre occasioni, magari nell’edilizia, nei settori produttivi legati all’elettronica, nelle aziende di famiglia, tutti accomunati dallo spettro della recessione e dalla domanda interna scarsa, altri avrebbero potuto accedere alla ricerca che in Italia è la cenerentola dell’economia quasi fosse stupido pensare che il binomio ricerca-innovazione pone nuove basi nel settore economico come avviene nei paesi più avanzati e competitivi: parlare del posto fisso è quindi noioso solo quando questo tarda ad arrivare o, peggio, si ha la consapevolezza che rimarrà solo un bel sogno.
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