Auguri per un maestro


(di Carlo Di Stansilao) – Domani compirà 90 anni ed è ancora vitalissimo, uscito dal tunnel di una brutta depressione, qualche anno fa e capace, ancora oggi, di atletici gesti marini, non troppo inferiori ai suoi tuffi giovanili, quando si allenava con un amico olimpionico e si considerava un uomo-pesce, che scopri come “il nuotare sott’acqua era come entrare in una cattedrale solenne”.
Raffaele La Capria, che per i novanta anni la Mondadori omaggia con l’uscita di “Doppio misto”, libro composto da cinque racconti già editi, ma ri-montati in modo da far apparire una sorta di compatto romanzo sentimentale, mette uno dietro l’altro America ’57, Kiki e Giovanni, La Fraulein, la puttana e la Signora, La vita sommersa e quella salvata e l’apologo La Bella e la Bestia, in un itinerario, nel lato oscuro dell’animo umano che ha dichiarato sempre di essergli mancato.
Ne viene fuori una infinita partita tra uomo e donna – Doppio misto, appunto – tra fascinazioni, passioni, ossessioni, silenzi e dolore: insomma, quel che manca allo scenario borghese tratteggiato da Thomas Mann nella Lettera sul matrimonio.
Oggi, in una intervista su Repubblica, dichiara: “Sono impregnato di letteratura e senza di essa non avrei mai vissuto. La vita di cui ho scritto e’ una vita inventata, percio’ e’ vera”” ed aggiunge che “…ci fu un tempo in cui il mondo era fatto di trasparenze. Ora che ho toccato i novant’anni sono tra i pochi che possono ancora fare il paragone tra quel passato innocente e oggi. La modernita’, da un lato, e’ stata una soluzione comoda, dall’altro ha cambiato il cielo, il mare e la terra”.
Attualità cogente quella di La Capria, vera e viva ancora oggi, mentre il suo artefice si avvicina al secolo di vita.
Come scriveva una settimana addietro l’Unità, è difficile andare oltre lo scandalo, la miseria umana di pezzi di classe dirigente e i fatti già emersi, le foto mostruose in cui compare a suo bell’agio la Polverini, la stessa immagine pubblica dei vari Fiorito, rendono plastico quel concetto assai caro a Raffaele La Capria e Leonardo Sciascia: la “classe digerente”. A poco servirà rivendicare la diversità, giustificare fino all’ultimo scontrino, se non saremo protagonisti, a tutti i livelli di rappresentanza, di una grande battaglia per la sobrietà della politica, per la trasparenza e la riduzione dei suoi costi, a partire dalle campagne elettori, dal costume degli eletti. Eppure, oltre a tutto questo, per dare una risposta responsabile all’indignazione generale e generalizzante dei cittadini impoveriti e costretti ai sacrifici, bisogna indagare e affrontare le questioni di fondo del sistema. Emanuele Macaluso, giorni fa, rilevava come il “bubbone laziale” mettesse in evidenza la crisi politica e istituzionale del Paese “in un punto nodale, le Regioni: dalla Lombardia alla Sicilia”. Allo scandalo laziale, infatti, è seguito quello campano, quello piemontese e ligure e veneto e chissà a chi altri toccherà. È inutile girarci intorno. Al netto di reati e malcostume generalizzato, è la crisi – di funzione, di “missione” – del nostro regionalismo e non solo.
Nel 1999, cioè 13 anni fa, La Capria ha scritto per Avigliano Editore: “Ultimi viaggi nell’Italia perduta”, raccontando, come aveva fatto Ceronetti con “Albergo Italia”, tutto il “disastro del nostro Paese”, da cui onestà e bellezza sembrano fuggite lontano.
Ed a leggere oggi questo, come altri suoi libri (“L’armonia perduta”; “Amore e Psiche”; “Lo stile de l’anatra”, ecc.), si comprende, meglio che in tanti saggi, come il regionalismo, ben prima della crisi della Prima (e della Seconda) Repubblica, aveva mostrato tutti i suoi limiti nel Mezzogiorno e proprio la questione meridionale era stata a lungo l’argomento decisivo per l’ostilità verso l’attuazione delle Regioni.
E non è certo un caso che la crisi dell’intervento nel Mezzogiorno sia coincisa proprio con la loro istituzione. L’illusione dei Padri Costituenti di far nascere, con l’opzione regionalista, una nuova classe dirigente meridionale, più attenta ai bisogni collettivi che non a contrattare al centro il mantenimento dei privilegi in periferia, fu drammatica.
E lo fu ancor di più quando, in conseguenza degli indirizzi europei, le Regioni hanno assunto un ruolo cruciale nella politica di sviluppo.
Perché le Regioni non hanno mai espresso quella visione integrata e strategica dello sviluppo che voleva l’Europa e, all’aumentare delle competenze, si sono necessariamente trasformate in mere distributrici di maggiori risorse, ingrassando se stesse e le proprie clientele.
Ora, certamente, non sarà né la letteratura né l’invettiva morale a tirarci fuori, eppure saranno proprio queste, alla fine a descrivere il progetto vuoto che è oggi la politica.
La sporcizia, il degrado: ecco la sofferenza e per definirla, La Capria ha creato un neologismo: malattia psicoecologica.
Adesso con il fotografo Renzo Capellini si trova a Capri e sta preparando un libro illustrato: non un generico libro sull’isola dagli occhi azzurri, ma sullo spettacolo del suo mare.
Poi se ne tornerà nella sua casa di fronte al mare di Posillipo, palazzo donn’Anna, avvinghiata a uno sperone di roccia e protesa come un vascello verso il mare aperto, mito sentimentale nel romanzo Ferito a morte che Vittorio Caprioli trasformò nel film Leoni al sole.
E lì rifletterà sulla armonia perduta di questi tempi e sul contemporaneo che sempre meno ama e sempre più l’inquieta.


02 Ottobre 2012

Categoria : Cultura
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