Gli italiani di Città del Capo


L’Aquila – Ci sembra interessante riprodurre l’editoriale del giornalista italiano Ciro Migliore, a destra nella foto, sulla Gazzetta del Sud Africa (edito a Città del Capo ovviamente per chi parla italiano, quindi anche moltissimi abruzzesi residenti laggiù), un interessante scampolo giornalistico di una realtà fisicamente lontana, ma molto vicina come ormai tutti i mass media del mondo grazie alle tecnologie: “Il nostro quotidiano ha cominciato le pubblicazioni il primo di ottobre del 2005. Come mostra la foto di una prima copia cartacea, nacque come Gazzetta del Capo e dopo qualche mese tagliò il cordone ombelicale con il Consolato di Città del Capo e acquisì il nome attuale. Per il resto non è cambiata molto, specialmente nella sostanza. –

E’ stata dura, ma la Gazzetta del Sud Africa sta per compiere sette anni di vita e per entrare nell’ottavo. Ne è valsa la pena? Forse non sta a noi dirlo. Ci siamo sforzati di rendere un servizio alla comunità di cui facciamo parte e di renderlo accessibile a chiunque ne avesse interesse. Dovrebbero quindi essere i destinatari della nostra buona volontà a dire in quale misura ci siamo riusciti. Ma ovviamente non è facile come dare il via al televoto per verificare quanti hanno apprezzato il nostro lavoro. Noi non abbiamo che un metro: quanti sono coloro che in questi sette anni hanno ritenuto la nostra Gazzetta un luogo degno di ospitare la loro firma. E da questo punto di vista la resa dei conti ci dice che coloro che ritengono non essere disdicevole mettere il loro nome accanto al nostro sono tanti e in aumento. Tutti persone degne e di grande cultura. Per il resto anche noi soffriamo a causa della stessa crisi economica che ha messo in difficoltà imprese ben più cospicue della nostra. Ma a vivere di stenti ci abbiamo fatto l’abitudine, così come ci siamo assuefatti ai sacrifici per tenere duro. Se avessimo voluto svolgere un’attività più remunerativa avremmo dovuto pensarci tanto tempo fa. Quando hai nel sangue il virus dell’informazione è troppo tardi.

Ci piacerebbe, se ci è consentito esprimere qualche desiderio, non continuare ancora per molti anni a dover ospitare scritti che censurano le malefatte della classe politica italiana. Ci piacerebbe anche registrare un accresciuto interesse del governo italiano verso i mezzi che diffondono informazioni e cultura, che tengono viva la nostra lingua e le nostre tradizioni. Ci piacerebbe non dover essere testimoni del costante decadimento di strutture che, come la Dante Alighieri, hanno mantenuto viva per oltre cento anni la fiammella dell’italianità soltanto per raggiungere il risultato di sentirsi dire dai nostri governanti che l’Azienda Italia ha bisogno di loro ma non può sacrificare neanche una lira per aiutarle, dato che tutte le risorse disponibili sono assorbite da politici e amministratori mai sazi di sottrarre alla nazione tutta la ricchezza che milioni di lavoratori riescono a produrre. Ci piacerebbe vedere un ricco servitore dello stato rinunciare a una parte dei suoi emolumenti per destinarla a coloro ai quali mancano 99 centesimi per mettere insieme un euro.

Ci piacerebbe non doverci vergognare dello spettacolo che i nostri politici offrono al mondo. Ci piacerebbe non essere per colpa loro dileggiati da popoli che ancora non avevano sentore di civiltà quando Roma e l’Italia erano già i forgiatori e depositari del diritto e della cultura che hanno finito per identificarsi con la civiltà occidentale. Ci piacerebbe che la nostra amata Patria finisse sulle prime pagine dei giornali per le qualità morali del suo popolo invece che per l’immoralità, la cupidigia e la corruzione di coloro che sotto spoglie della democrazia ci hanno imposto la dittatura della circonvenzione e sopraffazione continua della volontà popolare. Ci piacerebbe vedere milioni di italiani marciare per esprimere la loro rabbia e la loro frustrazione, tutti insieme, composti e in silenzio. Ci piacerebbe non vedere alcun politico marciare insieme a loro. Ci piacerebbe vedere la “par condicio” cambiata in “pura condicio”, nel senso che sia consentito ai politici parlare in televisione soltanto quando hanno qualcosa di veramente costruttivo e intelligente da dire.

Ci piacerebbe non vedere più delegazioni di una ventina di persone fra tecnici e politici venire dall’Italia a Città del Capo per spiegare a sè stessi le virtù nutritive del pesce azzurro, spacciandosi per ambasciatori di non si sa bene quale volontà di cooperare con controparti sudafricane che non erano a portata di voce. Ci piacerebbe che i soldi che saranno ancora spesi quest’anno per mandare i consiglieri del Cgie a parlare a controparti completamente sorde alle richieste degli italiani nel mondo fossero dirottati a finanziare l’insegnamento della lingua italiana ai nostri figli e agli stranieri che amano la nostra cultura e che acquisteranno prodotti italiani se riusciranno a leggere le istruzioni per l’uso.

Ci piacerebbe – per venire a desideri meno impossibili – vedere competizioni sportive nelle quali i cosiddetti campioni non tentino di vincere con il sotterfugio e con l’inganno. Ci piacerebbe leggere giornali meno proni a fare tiratura con pettegolezzi e facili concessioni ai più bassi istinti e inclinazioni della parte peggiore dei loro lettori. Ci piacerebbe che avessero l’onestà intellettuale di valutare correttamente, per esempio, il contributo inestimabile della famiglia reale alla capacità di tenuta della nazione britannica invece di approfittare di ogni minima opportunità per metterla alla berlina. Ci piacerebbe che gli italiani imparassero ad apprezzare più la rettitudine che la furbizia, più il rispetto che la prevaricazione, più la cultura che l’ignoranza. Ci piacerebbe poter cambiare la testa di quegli italiani che, nello sforzo di diventare cittadini del mondo o del villaggio globalizzato, chiamatelo come volete, s’illudono di non aver più bisogno di una loro identità nazionale. Ci piacerebbe ogni tanto sentir risuonare sulle labbra di persone qualunque le parole patria e patriottismo. Ci piacerebbe…

Certo, ci piacerebbero tante cose, ma, siccome non siamo nati ieri e i sette anni di questo quotidiano si sommano a tanti altri anni di giornalismo in almeno tre paesi e due continenti, chiuderemo questa nota ringraziando di cuore gli inserzionisti che hanno continuato ad appoggiarci nonostante i tempi difficili, non abbandonandoci come ha fatto la Fiat, e ci accontenteremo di un solo desiderio: poter essere di nuovo qui fra un anno a scrivere per quei lettori che continueranno a seguirci da ogni parte del Sud Africa e del mondo una nota meno amara per gli otto anni di questa nostra Gazzetta”.


01 Ottobre 2012

Categoria : Cronaca
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