Un tragico refuso in tv
(di Carlo Di Stanislao) – L’autunno Rai è sempre più all’insegna della fiction e dopo “Caruso” e “Cesare Mori: il prefetto di ferro”, mentre continua il successo della serie sul ”Commissario Nardone”, l’inventore della squadra mobile nell’immediato dopoguerra e in attesa dell’ennesima edizione di “Un medico in famiglia”, che quest’anno vede il ritorno di Lino Banfi insieme a Giulio Scarpati e di ‘K2 – La montagna degli italiani’, fiction che racconta il coraggio di dodici alpinisti italiani, con il sogno di conquistare la vetta numero due del mondo; Richy Tognazzi (con sceneggiatura di Simona Izzo), riporta in tv il Caso Tortora, con una miniserie in due puntate (ieri la prima e oggi la seconda) in prima serata su Rai1, sulla kafkiana vicenda giudiziaria che vide il celebre presentatore accusato ingiustamente di affiliazione camorristica e traffico di droga.
E lo fa con un sapiente equilibrio fra necessità di audience e fedeltà di racconto, secondo la vena migliore di Richy: quella dei dignitosi lavori basati sulla cronaca e ispirati al ‘cinema civile’ (Ultrà, La scorta, Vite strozzate, I giudici) e della pura, ma intelligente fiction, come in Canone inverso (2000) e Il padre e lo straniero (2010).
La sceneggiatura, ispirata a due libri, “Applausi e sputi – Le due vite di Enzo Tortora” di Vittorio Pezzuto e “Fratello segreto” di Anna Tortora editi da Sperling & Kupfer, crea una narrazione spedita e molto fluida, che funziona anche grazie al cast composto da Bianca Guaccero, Giovanna Rei, Carlotta Natoli, Thomas Trabacchi, Eugenia Costantini, Luigi La Monica, Tony Sperandeo, Francesco Venditti, Mariano Rigillo ed Enzo Decaro.
“Dunque, dove eravamo rimasti?”, questo il sotto-titolo della fiction, ha permesso alla Rai di ricordare la figura di Tortora, sia in una puntata di “Porta a Porta” andata in onda giovedì, che in quella domenicale di “Fiction Magazine” di Arianna Ciampoli e oggi con uno speciale a “La vita in diretta”, dove, a partire dalle 18.00, Mara Venier, Marco Liorni e molti ospiti, ripercorreranno la figura umana e professionale di un simbolo di assoluta e feroce ingiustizia.
Venerdì 17 giugno 1983, data fatidica e scaramantica per chi vi crede, il volto di “Portobello” venne svegliato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma, che lo arrestano per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.
Con queste parole del Tg2, quel giorno, l’Italia seguì le immagini che mostravano il celebre presentatore in manette: “Enzo Tortora è stato arrestato in uno dei più lussuosi alberghi romani, il Plaza; ordine di cattura nel quale si parla di sospetta appartenenza all’associazione camorristica Nuova Camorra Organizzata (N.C.O), il clan cioè diretto e capeggiato da Raffaele Cutolo: un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e dei reati contro il patrimonio e la persona”.
Lo accusano un manipolo di pentiti improvvisati e inattendibili, tra i quali spiccano Giovanni Pandico e Gianni Melluso. Il primo è stato in carcere per dieci anni il fedele e zelante segretario del boss di Ottaviano Cutolo, portavoce della NCO nel ’70 uccise due impiegati comunali per un movente banale, viene definito “un calunniatore dalla personalità mitomane e deviante”. Si racconta che Pandico si volle vendicare di Tortora perché non prese mai in considerazione una collezione di centrini spedita per il famoso programma “Portobello” dal camorrista Domenico Barbaro. In verità la redazione della trasmissione smarrì i centrini e la Rai pensò a risarcire il proprietario con tanto di lettera di scuse. Pandico da pericoloso paranoico prese a pretesto ciò per subissarlo di lettere minatorie e costruire il castello accusatorio insieme a Pasquale Barra detto “’O animale”, poi come una catena di Sant’Antonio si arrivò a una quindicina accusatori. Tra gli altri una coppia di coniugi (Margutti), esterni alla Camorra e presunti partecipanti ad alcune sue trasmissioni, i quali giurarono di averlo visto consegnare droga dietro le quinte dell’emittente televisiva Antenna 3. Melluso, detto “Gianni il bello” entra in scena nel gennaio ’84, è un malavitoso salito dalla provincia di Catania alla grande metropoli lombarda, nelle dichiarazioni ai giudici e ai giornalisti è il più scatenato e fantasioso e viene ritenuto, ma solo molto dopo, “un cinico calcolatore”.
Dalla parte di Tortora, comunque, sin da subito si schierarono Sciascia, Montanelli e Enzo Biagi che, fra l’altro, inviò a una lettera al Capo dello Stato.
Ma anche quando le cose si chiarirono, solo in pochi sottolinearono che era stato arrestato per un “refuso”, vittima sacrificale degli isterismi e dei pressappochismi dell’antimafia e, ancora, nel 1985, venne condannato a dieci anni, nonostante l’evidenza e a causa delle accuse di11 “pentiti”, definiti da un giornale “la nazionale della menzogna”.
Con un gesto nobile, l’ormai ex divo della TV – protetto dall’immunità parlamentare poiché deputato europeo eletto nelle liste Radicali – si consegnò e rimase agli arresti domiciliari, per poi essere assolto con formula piena, a più di tre anni dall’inizio del dramma.
Rientrerà trionfalmente in televisione (esordendo con la storica frase che da il titolo alla sceneggiato) il 20 febbraio 1987, ma morì, a causa di un cancro, l’anno successivo.
Spiace sapere che la fiction, davvero molto ben realizzata, non ha trovato l’appoggio della famiglia del popolare presentatore, dimostratasi sin dall’inizio scettica all’idea di vedere il dramma vissuto dal congiunto.
La puntata di stasera, la migliore delle due parti, riprenderà da Tortora che, spalleggiato dall’avvocato e amico Raffaele Della Valle e successivamente anche dall’avvocato Dall’Ora, individua nella lotta per migliorare le condizioni di detenzione dei carcerati una motivazione in più per continuare quella battaglia che – come lui stesso amava ripetere – “non è contro la giustizia ma per la giustizia”.
Furono in molti a voltargli le spalle, ma anche tante le voci del panorama intellettuale dell’epoca che si schiereranno in suo favore come i Radicali, che videro in lui un testimone eccezionale per le campagne contro le ingiustizie del sistema giudiziario.
Eletto, come ricordato, deputato europeo, rinuncerà all’immunità parlamentare per affrontare la giustizia e la calunnia a volto scoperto. Condannato a dieci anni di detenzione si fece a arrestare durante un comizio del Partito Radicale e tornò ad affrontare le aule di tribunale nel processo d’appello.
Questa volta, però, le cose andarono in modo diverso: le accuse dei pentiti crollano sotto i colpi della difesa, cominciarono a emergere innumerevoli contraddizioni e nel settembre 1986 il giudice Mariani lo assolse con formula piena, restituendogli la libertà e la dignità perduta.
Ma, nonostante il clamoroso errore giudiziario, anni dopo alcuni giornalisti scriveranno (per un’enciclopedia televisiva) una sorta di biografia piena di lacune — a partire dalle date – in cui quella macchia pare dura a morire: “…nel 1977 Enzo Tortora lasciata la Rai, fonda una sua emittente con Renzo Villa. Per dare il via ad Antenna 3 ci vogliono quattro miliardi e mezzo: è il primo colosso privato dell’etere. Quattro miliardi per acquistare gli enormi studi alla periferia di Legnano…il programma Pomofiore negli ascolti batte Mike Bongiorno. L’utenza pubblicitaria accorre, il successo dell’emittente fa clamore e notizia. Eppure questa verrà vissuta come “la parentesi povera e buia” della vita di Tortora. Dietro le quinte dei suoi studi miliardari il giornalista-conduttore avrebbe colluso con mafiosi, fatto lesto passamano di droga, perpetrato indegni traffici. Quando lascia la sua emittente egli è già un uomo segnato dal prezzo che ha dovuto pagare al troppo successo: gelosie, illazioni, colpi bassi…”. Nel suo passato ci fu solo il mestiere di giornalista svolto con passione in cui risaltò una personalità indipendente, un carattere schietto e sincero senza peli sulla lingua, ai limiti dell’antipatia.
Ci fa comunque piacere leggere oggi che la prima puntata de ”Il caso Enzo Tortora-dove eravamo rimasti?”, ha stravinto il prime time , con 4 milioni 771 mila spettatori e uno share del 19.12.
Infine, a me la fiction è sembrata migliore del film “Un uomo perbene” (1999)di Maurizio Zaccaro, in cui Tortora era impersonato da un poco credibile Michele Placido, la cui parte migliore (forse l’unica da salvare), riguarda l’arresto al Plaza.
Come dicevamo le figlie di Tortora non hanno gradito il film televisivo di Richy Tognazzi e Gaia, la giornalista del Tg La7, ha dichiarato: “Mi è stato inviato in gran fretta il testo della fiction. L’ho letto attentamente e non mi è piaciuto: è tutta una cosa romanzata che non esiste proprio, che non ha attinenza con la realtà”.
Inoltre c’è chi vi ha visto l’ennesimo attacco alla magistratura, mentre lo sceneggiato è concepito per parlare di un uomo integerrimo, caduto vittima di un labirinto ingiusto e senza fine, che ci deve ammonire un po’ tutti.
La carriera televisiva di Enzo Claudio Marcello Tortora (nato a Genova il 30 novembre 1928 da genitori napoletani) inizia nel 1956 con Primo Applauso, che conduce in coppia con Silvana Pampanini.
Poi passa a Campanile sera (come inviato esterno) e Telematch (uno dei primi format di intrattenimento della Rai). Nel 1965 conduce la Domenica Sportiva ed è sua addirittura la prima conduzione di Giochi Senza Frontiere.
Dalla Rai viene allontanato per ben due volte. La prima nel 1962, per un’imitazione di Alighiero Noschese che fece la parodia di Amintore Fanfani (politico Dc) in un suo programma. La seconda per aver duramente criticati i vertici dell’azienda. In entrambi i casi si rifugia nella Televisione della Svizzera Italiana.
Poi eccolo di nuovo in Rai (nel ’76 cambia il vento politico e sulla socialista RaiDue, oltre a lui, torna anche Dario Fo). Il 1977 è l’anno della consacrazione, con Portobello: una trasmissione epocale, che ispira, in futuro, una quantità incredibile di format: da Chi l’ha visto? a I cervelloni, da Carramba a Stranamore, con Tortora che si rivela precursore straordinario della migliore televisione successiva .
Il 17 (ancora di 17) giugno 1987 la Cassazione conferma l’assoluzione in appello, ma dopo pochi mesi, a soli 60 anni, Tortora muore senza fare a tempo a concludere il suo programma “Giallo” per un tumore mortale ai polmoni, segno di una ingiustizia di cui molti dovrebbero sentirsi responsabili.
Figlio del celebre Ugo e dell’attrice Pat O’Hara, Richy Tognazzi, dopo aver studiato al Dams di Bologna ed aver lavorato come aiuto di Luigi Comencini, Pupi Avati e Maurizio Ponzi, facendo di tanto in tanto qualche comparsata in veste di attore in alcuni film del padre; esordisce alla regia nel 1987, con “Fernanda”, episodio del film per la TV “Piazza Navona”, progettato da Ettore Scola, per il quale aveva interpretato, nel 1986, “La famiglia”.
Il suo ultimo film è del 2011: “Tutta colpa della musica”, di cui è interprete con Stefania Sandrelli, Marco Messeri, Monica Sofia Ricci e Arisa, scritto assieme alla moglie Simona Izzo e a Leonardo Marini e presentato nella sezione Controcampo del Festival di Venezia; un buon prodotto che si avvale di uno stile molto (forse troppo) televisivo, ma con soluzioni piuttosto interessanti.
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