Che noia, sempre paroloni e niente fatti
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – 42 MESI, MA LA RICOSTRUZIONE E’ SOLO CARTA E RETORICA – Quarantadue mesi dalla distruzione, questo è il solo fatto riscontrabile, ma niente ricostruzione. Solo parole, anzi paroloni che si ascoltano ad ogni nuovo arrivo del ministro Barca. Parole che sgorgano dalle solite bocche: sindaco, assessori, imprenditori, intellettuali, specialisti, architettoni e ingegneroni, professoroni ed espertoni. Tace, ormai, l’ex commissario Chiodi, che qualcuno (come l’assessore Di Stefano ieri) continua ad attaccare, così, tanto per soffiare sul fuoco della polemica affinché non si spenga. Ma sono solo fiammelle tremolanti sui tizzoni.
Che noia. Oltre alla frustrazione e alla depressione, che li attanagliano, gli aquilani e i crateristi, non percepiscono e non sentono altro. Dall’aula del processo alla Commissione grandi rischi giungono drammatiche rievocazioni della tragedia, e gli instancabili PM Picuti e D’Avolio snocciolano carte, documenti, prove e testimonianze che, per loro, dovranno portare ad una condanna degli improvvidi scienziati. I cervelloni che pretendevano di gettare acqua sul fuoco della paura della gente. Sono, a ben guardare, i soli che hanno raggiunto lo scopo e l’obiettivo. E meno male che ad essere lenta era la giustizia…
Oggi la ricostruzione è lontana, forse meno rispetto a prima di Barca, il quale, tuttavia, finora ha portato parole e carte: sì, i soldi ci sono, ricostruiremo anche i monumenti, ci vorrà del tempo ma verrà bene. Nel frattempo, si preparava una staffilata da niente alle illusioni dei precari. Gente che si sarebbe dovuta aiutare, perché per riedificare una collettività , la prima iniezione deve essere il lavoro. Che non c’è, né ci sarà una volta espletato il concorsone, se non per pochi precari e pochi dell’immensa pletora di disperati che parteciperanno al concorso. Da tutta Italia. Il gioco al massacro, la tempesta delle raccomandazioni e della disperazione di giovani senza domani in un’Italia senza oggi.
Continua, inesauribile, la parata dei grandi propositi, degli impegni, dei punti basilari del futuro, delle emergenze da privilegiare. Almeno una volta la settimana, sentiamo roboanti dichiarazioni, dottissimi interventi, iperuranici suggerimenti, autorevoli pareri. Ma i mesi dalla distruzione sono sempre 42, e in ottobre saranno 43. Se è vero, come dice Pietro Di Stefano, che le imprese non hanno più soldi da anticipare e che milioni sono fermi, sospesi in un limbo impenetrabile, stiamo freschi.
Se è vero che occorrono, come dice Chiodi, decreti e provvedimenti del Governo per erogare il denaro, e non ci sono ancora, stiamo freschissimi. L’inverno arriverà e passerà . La primavera 2013 sarà elettorale, quindi una baraonda di liti, scontri, polemiche, accuse, risse politiche, tuoni, fulmini e saette, ma di concreto niente. Come le rotatorie di Cialente… Di concreto solo la nuova guerra santa per le province, che incendierà l’Abruzzo, vedrete.
Ebbene, siamo stanchi, come tutti i cittadini, gli aquilani e i crateristi di più. Siamo sfiniti da tutto questo nulla che segue al nulla, mentre persino il polverone delle macerie si dissolve, perché ormai sono marcite ed erbose. Troppe parole, troppe attese da eterno stato di coma. Troppi mesi. Troppo dolore senza rimedio. Troppa inefficienza da naufragio.
Ci commuovono i terremotati emiliani quando protestano, flebilmente perché sono gente civile, per i ritardi dei promessi interventi (9 miliardi, si dice) a sutura dei loro guai, delle loro ferite ancora fresche e sanguinanti. Non sanno cosa li aspetta. Non sanno quanto ha sofferto e soffre questa nostra povera terra, quante parole dovranno sentire, quante chiacchiere che da insulse, diventano assassine. Pensavano che fossimo i soliti piagnoni, i terroni che sanno solo tendere la mano a palmo in su. A caro prezzo, impareranno come vanno le cose. Vorremmo solo, sussurrando, ricordare a quella forte e orgogliosa gente emiliana che le baracche del terremoto di Avezzano ancora esistono. E che L’Aquila da 42 mesi è morta, e se fosse viva, oggi, morirebbe di noia a forza di chiacchiere.
Il dies irae del 6 aprile 2009 non durò 20 secondi, ma dura da 1300 giorni.
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