150 giorni: ansie, tendopoli, speranze


anime-santeL’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Oggi, 3 settembre, sono 150 giorni dal 6 aprile. I cinque mesi scadranno il 6 settembre. Il mezzo anno il 6 ottobre. Chi è fuggito di casa la notte della domenica delle Palme, ha già di che considerarsi profugo a tutti gli effetti. Un’esperienza che tutti avrebbero evitato a qualsiasi costo: ma con la natura non si scende a patti. Avviene ciò che la natura decide che debba avvenire. Sta agli uomini tenere la testa fuori dall’acqua e tentare di non annegare, se ci riescono.
Per i profughi, vivano a L’Aquila o altrove, da oggi cambia qualcosa di importante. Nella tendopoli più grande, piazza d’Armi, oggi è cominciato lo sgombero dei circa 1.200 abitanti. La città, che è di tutti, si avvia a cambiare volto e a somigliare, per quanto si potrà, a se stessa, a com’era nell’altra vita. Sia per chi lascia le tende, che per chi le guarda da fuori ormai da quasi 5 mesi, la situazione cambia. Gli sfollati in tela andranno negli appartamentini della Scuola della Finanza, negli alberghi a L’Aquila e dintorni, in alcune frazioni e “in altre sistemazioni”. Abbiamo raccolto qualche dato certo: qualcuno subito è stato destinato alla GdF, una famiglia di sicuro all’Hotel Federico II, altre due ad Assergi. In molti hanno acccettato di buon grado la smobilitazione, che la Protezione civile chiama “progressivo alleggerimento”. Per quasi tutti, si starà meglio sotto un tetto, qualsiasi tetto, rispetto alla tendopoli. C’è chi onestamente ammette di essere stato bene, di non aver sofferto troppo, e apprezza l’accoglienza e l’assistenza ricevute. Altri hanno da ridire, ma non potrebbe essere diversamente. Di problemi ce ne sono stati, e anche grandi.
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I commercianti e gli artigiani del centro storico sono, al momento, le categorie più colpite e prive di risorse e prospettive. Si chiedono aree commerciali vere, si chiede di poter riaprire qualche saracinesca, di riprendere a vendere qualcosa: “Ma se gli aquilani non tornano, a chi venderemo?” chiedono sconsolati i commercianti. Per tutti coloro che hanno perso di botto bottega e guadagno, aziende decennali, clienti, merci, fiducia e speranze, le risposte sono disarmanti: ritardi, soldi che dovevano arrivare da mesi e non sono arrivati ancora, quote di cassa integrazione non erogate, burocrazia non sempre informata e disponibile, lunghi giri per una città senza identità alla ricerca di un ufficio, di una persona con cui parlare, di uno sportello che dia informazioni chiare e definitive. La notte il popolo stravolto e stralunato che trascorre giorni difficili (fino ad oggi con un caldo deprimente) si riversa dove si fanno ore piccole, e dove si raccolgono persone stressate, spesso aggressive, di ogni risma ed estrazione. Risse, urla, ingorghi, prepotenze: una Shangai minuscola ma a modo suo turbolenta e intollerante.
Il problema del traffico è una piaga delle ore del giorno. Indisciplina, nervosismo, code che erodono il tempo a disposizione per fare tante cose, tutte con difficoltà. Le strade alternative vengono adoperate poco, anche perchè nessuno incanala il traffico verso percorsi più agevoli, e segnali non ne esistono. Chi spiega ad uno che si trova a Gignano che gli conviene passare per la variante, se vuole raggiungere l’ospedale o Coppito?
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Eccola, L’Aquila, a 150 giorni dalla sua condanna alla sofferenza. Eccola, già sgarrupata e malconcia da prima del 6 aprile, figuriamoci adesso… Eccola, con il suo policromo rosario di case che sorgono in tutte le periferie, crescono come gramigna, tagliando il profilo dell’orizzonte con i loro tetti nuovi di zecca e lasciano ancora vedere, come signore dalle gonne lunghe ma con lo spacco, i pilastri d’acciaio che sorreggono tutto. Le nostre assicurazioni antisismiche. La gente si chiede: come mai all’isola di Giava e a Jakarta, metropoli con grattacieli, un 7,3 Richter ieri non ha devastato tutto, come qui un 5,8 il 6 aprile?
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Infine, le accorate prese di posizione del sindaco Cialente, della presidente Pezzopane e dell’on. Lolli: non altri quartieri di case del progetto C.A.S.E., ma edifici di legno e moduli su ruote, se occorrono. Pienamente condivisibile, meglio case di legno e case su ruote, almeno la gente dentro non ha più paura del terremoto, e un domani si potranno togliere. Bertolaso è stato chiarissimo: tutti i terremotati avranno un tetto. Che sia un tetto di legno forse è la scelta migliore. Speriamo che il buonsenso prevalga.
(Le foto: Dall’alto, le Anime Sante la notte del sisma; un palazzo in corso Umberto, dove c’era la storica libreria Agnelli; la banca aquilana scende sulla costa per avvicinarsi ai clienti sfollati; la nuova città sorge a Est,Ovest,Nord,Sud…).


03 Settembre 2009

Categoria : Cronaca
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