La organizzazione della ricostruzione, il punto
(di Giampaolo Ceci) – Cerchiamo di dare una lettura politica di quanto avvenuto in termini organizzativi del dopo sisma, tralasciando le valutazioni sulla fase della emergenza.
Dopo lo sgomento iniziale, la prima fase organizzativa che si è attivata, è stata quella di istituire un organo di coordinamento finalizzato espressamente alla ricostruzione: la unità tecnica di missione.
Una decisione che faceva presumente efficienza e velocità decisionale.
Contemporaneamente alla emergenza si è attivata subito una fase che possiamo chiamare “esplorativa”; ovvero fare l’inventario dei danni. In questa fase si è instaurato il criterio ancora in vigore per quantificarne la gravità dei danni. Sono nate le classificazioni (A, B, C, D, E, F).
La terza fase della politica della ricostruzione è stata quella di dividere il territorio aquilano in funzione dei danni e delle tipologie edilizie.
E nata così la zona rossa, su cui si sarebbe dovuta concentrare la ricostruzione pesante e le altre zone fuori dal centro storico con minore valore storico artistico. Si é cercato anche di definire delle zone a diversa priorità di intervento che però mi pare siano rimaste lettera morta.
Per completare il quadro di quanto avvenuto, bisogna ricordare la decisone strategica di fare controllare le progettazioni da un organo tecnico costituito da tre soggetti: la FINTECNA spa, la Re LUIS e CINEAS i quali però non avevano dei criteri oggettivi da usare nei controlli, per cui il loro azione, almeno quella iniziale, non era rivolta alla verifica di precise disposizioni tecniche e normative, bensì a generiche disposizioni che erano state emanate dagli stessi organi di controllo, in mancanza di leggi o ordinanze specifiche.
Solo in seguito furono emanate direttive meno imprecise e gli organi di controllo hanno avuto qualche cosa di oggettivo da controllare …. e i professionisti molto da integrare.
Il comando strategico è rimasto invece “sospeso” per parecchio tempo tra il responsabile della emergenza e le forze politiche locali. Ricordo che il presidente Chiodi fu nominato commissario solo dopo un paio di anni dal sisma.
Tralascio i vari tentativi per organizzare meglio la ricostruzione e le nomine di svariati “consulenti” di cui non si sa più cosa facciano e tralascio anche le montagne di critiche
Ultima notazione riguarda le politiche relative alle scelte tecniche di come ricostruire il centro storico, per il quale si è deciso (ma da chi?) di suddividere la città in singoli edifici o, se preferite in “unità minime strutturali”(UMS) costituite dagli edifici facenti parte di un unico organismo strutturale che si sarebbe opposto al sisma, piuttosto che in macroaggregati per consentire organizzazioni efficienti e progettazioni tipologicamente omogenee.
Questa scelta politica (assunta anche per evitare gare europee che avrebbero portato all’Aquila grandi imprese edili) ha comportato la necessità di costituire dei consorzi che racchiudessero tutti gli edifici di una medesima UMS e di definire criteri e modalità di nomina dei relativi organismi rappresentativi e di gestione le conseguenti ulteriori disfunzioni organizzative, come se non bastassero quelle che già si erano manifestate.
La decisione politica di questo modello di organizzazione comporterà anche il frazionamento dei cantieri di cui ancora non si conoscono le conseguenze in termini produttivi e gestionali.
In estrema sintesi la ricostruzione è apparsa piuttosto scoordinata, sia nelle linee politiche generali che in quelle organizzative spicciole.
Quale la ragione? qui la questione è più complessa e la lascio agli analisti e ai lettori perché fa pare del dibattito politico.
Resta il fatto che le decisioni politiche e tecniche si sono susseguite con lentezza esasperante. Anche in un quadro organizzativo indefinito nei principi e nelle strutture tecniche di riferimento, si sarebbe potuto quantomeno dare direttive chiare che avrebbero potuto almeno fare funzionare meglio quel poco che poteva comunque funzionare quantomeno per mantenere un minimo di vita sociale nel centro storico.
Ora la situazione organizzativa mi pare in stallo. Tutto sembra concentrato a fare funzionare il vecchio modello incentrato sulla suddivisione del territorio in zone rosse altre, sulle classi di danno e i criteri di progettazione e finanziamento già attivati per le zone fuori dal centro storico. Unica variante sarebbe il fatto che si vuole eliminare la filiera e sostituirla con personale del comune da assumere e formare ex novo.
In questo quadro organizzativo si innesca il concorsone con le sue polemiche di basso profilo elettorale.
Decisone giusta o ancora una volta nefasta, da un punto di vista organizzativo? Non saprei dire. Mi pare che, come è bene pensarci sopra due volte prima di rinunciare alla esperienza annuale di un precario, bisognerebbe pensarci altrettanto prima di gettare tutto a mare e rinunciare a competenze difficilmente sostituibili come quelle della ReLUIS di cui ci si può legittimamente lamentare della lentezza, ma non certo della competenza.
In mancanza di una rivisitazione di tutta la macchina organizzativa ispirata da un disegno logico ed efficiente, che veda al centro SOLO le convenienze dei cittadini, tiriamo a campare…..
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