Il cammino del perdono


(di Carlo Di Stanislao) – Chiuso ancor oggi da una triplice cinta muraria, Pereto è un paesino marsicano stretto fra alte montagne, sorto già prima dell’epoca carolingia, come documentano le vestigia di un castello di forma quadrata, edificato dai conti dei Marsi verso il IX o X secolo.
Notizie precise su Pereto cominciano ad apparire nel XII secolo (catalogo dei Baroni), ma il paesino se n’era stato per secoli lontano dalle enfasi storiche più esposte, sino a pochi giorni fa, quando su tutte le cronache nazionali di lui e del suo convento “Santa Maria dei Bisognosi”, si è parlato come ricetto di Luigi Lusi, agli arresti domiciliari dopo 88 giorni di Rebibbia.
Vi è giunto nel pomeriggio di lunedì, a bordo di un suv scuro, vestito grigio scuro, camicia azzurra sbottonata e un mucchio di faldoni sotto il braccio, sapendo che, per disposizione del giudice, potrà vedere una volta alla settimana, nella biblioteca del santuario, la moglie Giovanna (anche lei ai domiciliari, ma a casa) e la figlia di due.
E la curiosità è grande su come trascorrerà le giornate il senatore accusato di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, in un luogo dove ci si sveglia alle 6.30, alle 7 c’è la messa e poi iniziano le attività di recupero per ex tossicodipendenti e degli altri residenti con problemi psichici.
Si sa che Lusi parteciperà alla vita minuta (pulizie e cucina) del convento e, se vorrà, potrà lavorare nel laboratorio che produce coroncine e altri oggetti sacri.
Il rettore del luogo ha detto ai 22 che vi soggiornano, “è un figlio di Dio e lo accoglieremo con spirito evangelico”, mostrando un autentico spirito francescano e poi commentato, con i giornalisti, secondo il dettato del “Poverello di Assisi”: “Non lo conosco di persona. Certo, una idea dei fatti me la sono fatta, ma noi abbiamo un approccio senza pregiudizi, perché le persone hanno una dignità che va al di là dei singoli sbagli”.
Sempre il 18, l’ex presidente della Margherita, Francesco Rutelli, insieme all’ex presidente dell’assemblea dei Dl, Enzo Bianco, ha consegnato al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, cinque milioni di euro che sono una prima tranche di risorse di avanzo patrimoniale del partito ed ha sottolineando come questo sia “un impegno preso e mantenuto, che continuerà”.
Ed aggiunto che tutte le risorse, comprese quelle che deriveranno dal processo a carico dell’ex tesoriere della Margherita, in cui i Dl si sono costituiti parte civile, verranno date allo Stato. Parlando dello sviluppo dell’inchiesta, i difensori di Lusi annunciano la disponibilità alla restituzione del patrimonio immobiliare (tra cui anche una casa nel centro storico di Roma e una villa a Genzano) frutto della “distrazione” compiuta negli anni.
Insomma su tutta la vicenda aleggia una forte area cristiana fatta di comprensione e di perdono. Ricordava un anno or sono Federico Pellettieri, che a volte il perdono può assumere connotazioni di biasimevole arroganza, soprattutto quando è generico e sostituisce, solo per magnanimità, una giusta condanna.
Io non voglio emettere giudizi (che sono comunque sempre sbagliati), ma vi racconto una storia, presa da Elogio dell’ombra di Borges.
Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: “Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima”. “Ora so che mi hai perdonato davvero” disse Caino “perché dimenticare è perdonare. Anch’io cercherò di scordare”. Abele disse lentamente: “È così. Finché dura il rimorso dura la colpa”.
Perché, in fondo, leggendo i Salmi o la storia dei “Samaritani” nel Vangelo di Matteo, si dimostra che non vi può essere perdono senza ravvedimento e negli Atti è scritto “Ravvedetevi dunque e convertitevi, onde i vostri peccati siano cancellati”. E Giovanni, l’immenso Giovanni dal cuore puro e dalle visioni folgoranti, scrive: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità”.
Per il cristianesimo ogni essere umano è peccatore per natura, e a causa del peccato è caduto, separato in modo irrimediabile da Dio, e condannato alla morte eterna. Questa è la condizione di tutto il genere umano, nessuno escluso. Condizione cambiata dal Cristo, che ci ha tolto dal peccato e riconciliato con Dio, a patto il perdonare i peccati, che non implica la giustificazione del peccatore, ma la possibilità di un vero ravvedimento. E Luca mette in bocca a Gesù l’affermazione: “”Io vi dico che così vi sarà in cielo più allegrezza per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti i quali non han bisogno di ravvedimento”.
Al’epoca delle prime notizie sul caso, Ennio Remondino, genovese doc, ebbe a dolersi molto del fatto che il senatore Luigi Lusi, tesoriere infedele, definito “imperdonabile perché rubava per se stesso senza manco la scusa di un Trota da sistemare”, era stato eletto per ben due legislature nella circoscrizione Liguria.
E diceva che essendo, come hanno cantato De Andrè e Paolo Conte, i liguri un po’ selvatici, aveva gravi problemi di roteazione scrotale (“Me gjân e balle”), nel dover vedere come la sua terra aspra e avara, era da tempo condannata alla colonizzazione politica permanente, per giunta disonorevole.
Ma allora che cosa dovremmo dire, Lusi a parte, noi abruzzesi? Ma per noi cristiani, liguri, abruzzesi e anche di altre regioni, la legge del perdono è la grande rivoluzione e se per gli antichi (o per altri rimasti tali), esiste la legge del “fai come ti è stato fatto”, noi dobbiamo essere diversi e se uno ti spezza un dente, non spezzarlo spezza anche tu, se uno ti acceca,non cavargli l’occhio, ma invece, sentiti disposto a perdonare, anche più di tre volte, se c’è ravvedimento.
E a chi mi tacciasse di risibile pietismo, ricordo la lezione (molto laica) del “Candido” di Voltaire, che vede nel lavoro e nel perdono non qualcosa che serva per rendere sopportabile l’esistenza, ma qualcosa di essenziale per migliorare l’uomo e che sono necessari per vivere bene e con serenità, anche in tempi molto oscuri e difficili, come questi.


20 Settembre 2012

Categoria : Cronaca
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