“Chiudo, voglio essere povero ma libero”


Pescara – (di Stefano Leone) – VITTORIO DI BOSCIO MOLLA GLI ORMEGGI – ISTITUZIONI INDIFFERENTI, L’ARTE E LE IDEE NON INTERESSANO NESSUNO – Il civico 391 di Viale Bovio di per sè non dice nulla ma la facciata dell’edificio è assolutamente unica. Il colore è un fucsia esaustivo ed evidente, non passa inosservato. Le fronde del tiglio, che staziona davanti assume funzione di guardiano e, discretamente fa trapelare la scritta che sovrasta la vetrina, intagliata su una base in legno massiccio di colore rosso prugna: Di Boscio Arte.
La scritta, con carattere cirillico e di colore bruno, è protetta in alto dalla sporgenza delicata e sobria di un balconcino stile “Giulietta e Romeo”. Fuori, sul marciapiede, davanti alla vetrina ogni momento c’è un capannello di gente ferma. Si, ferma, immobile che guarda la vetrina. La fissano poiché è chiusa e, i vetri fanno da cornice di uno scritto a mano, (e si nota la calligrafia stilisticamente artistica), che spiega il perché della chiusura. A dire il vero più che una spiegazione è un grido di dolore.
Il grido di un uomo che, cresciuto fra odori di vernici colorate e setole di pennelli intrisi, con un palmares personale di artista di prima fascia, (è stato portatore in Italia e nel mondo di progetti artistici di prim’ordine), si ritrova a dover chiudere bottega. Vittorio Di Boscio è nato a Pescara nel 1954, appassionato all’arte dal padre Ernani, famoso ritrattista e pittore d’arte sacra e dalla madre Elena Barra, la pittrice dei fiori. Esprime i suoi pensieri ed emozioni in opere che valorizzano la forza del colore attraverso una serie di accostamenti e associazioni di idee, creando atmosfere e contorni indefiniti. Da sognatore e romantico, nei suoi lavori esiste un’iquadratura ed un taglio particolare che determinano una tessitura cromatica di sicuro effetto riscuotendo ampio consenso di critica e pubblico. “A volte dietro l’ultima nebbia vive ancora speranza di un sogno perduto”, è una frase che Vittorio ha incastonato in una delle suo opere colorate all’interno della quale la frase risalta. Ci piace come emblema del suo grido di dolore verso la sordità di chi, incurante di perdite inestimabili come questa, (una bottega di artigianato dell’arte che scompare è una perdita per tutti), si nasconde dietro giacche blu e cravatte colorate dando voce sempre e solo al baratro sociale che coinvolge tutti.
Aspettiamo Vittorio davanti alla sua bottega chiusa, osserviamo intanto le persone che si fermano a leggere e soprattutto ascoltiamo i commenti. Poi, arriva. Ha in mano una lastra di vetro che gli servirà per una sua opera. Ci apre e ci fa accomodare dentro. Le persone all’esterno allungano il collo come a voler violentare con lo sguardo quel luogo che magari, in tantissime altre occasioni pur essendo aperto non hanno mai guardato. Dentro si respira totalmente l’odore dell’artigianato artistico, quell’odore caratteristico di vernici e legno, tele e cartoni. Il colore è totalmente sovrano. Lui, Vittorio, jeans e camicia a quadri, ha il volto emaciato, gli occhi amari ma vispi e intensi. Quasi non ce la sentiamo di attaccare con le domande ed allora usiamo il tono discorsivo più che interrogativo.
“Potrei contestare tutto il settore perché non si è uniti, siamo una grande forza ma non siamo uniti, (n.d.r. il riferimento è alla Confartigianato), ma questa volta voglio spendere la mia voce non su questo tema ma sulla mia attività”
- Quale è la sua contestazione Vittorio?
- “Comincio col dire che non si vedono le istituzioni vicino; c’è una totale disattenzione nei confronti dell’artigianato e commercio, o meglio, dovrei dire che l’attenzione c’è ma per alcuni soggetti, associazioni, organizzazioni vicini al potere per altri buio totale. Pescara culturalmente non è aperta, non c’è attenzione verso realtà che non siano vicine al potentato che in quel momento ha potere decisionale e amministrativo”.
- Mi fa qualche esempio tanto per non rimanere sul vago?
- “Quattro anni fa organizzai un progetto che si chiamava AbruzzArte nel Mondo, da portare a Perth in Australia che, oltre ad opere da esporre, prevedeva una parte didattica sull’artigianato dell’arte. Ebbi contatti per avere un contributo dagli Enti locali ma niente di niente. Portai ugualmente il progetto e, il giorno dell’inaugurazione mi trovai li politici, il loro seguito e anche qualche familiare, ma per me, anzi per il mio artigianato d’arte, non vi era stata possibilità di quattro soldi”.
- Quale è la possibilità della sua piccola impresa artigiana per l’accesso al credito?
- “Nessuna. Se non hai garanzie più che solide non ti guardano neanche in faccia. Ma parliamoci chiaro, se una persona o una piccola impresa chiede un prestito vuol dire che ha bisogno di aiuto. Ma se per avere questo aiuto bisogna dare garanzie che il più delle volte hanno un valore maggiore del prestito richiesto bè, allora c’è qualcosa che non funziona. D’altronde se uno i soldi li ha non ha necessità di andarli a chiedere. Ora questo detto proprio in maniera spicciola e diretta ma se vogliamo alzare il livello del discorso lo si può fare trovando formule dialettiche appropriate ma il pensiero non cambia”
- Vittorio, cosa significa chiudere una attività come la sua?
- “Quello che vorrei dire agli enti locali è che quando chiude una realtà di artigianato d’arte ci perde l’intera città; noi siamo stati sempre rappresentanti nel mondo dell’artigianato d’arte, quando una realtà sparisce la perdita è plurale non solo del singolo individuo. Per non parlare poi dell’indotto. Dietro ad ogni piccola realtà artigianale c’è un indotto che si muove. Si innesca un effetto a catena poiché chi lavora dietro l’artigianato d’arte, vetrai, corniciai, falegnamerie ecc. ovvio avranno meno introiti anche loro”.
- Ma la sua contestazione, mi pare d’aver capito che va anche oltre.
- Si, certo; hanno svuotato le città con l’avvento e l’incentivazione dei grandi centri commerciali, svuotando la città si perdono i servizi, aumenta la criminalità nei centri urbani svuotati; quando il cittadino viene a perdere i servizi ha perso tutto. Altro aspetto vessatorio è la grande pressione fiscale. L’artigianato d’arte rischia di lavorare a rimetterci poiché quando ti accorgi che un prodotto viene a costare di più di quello che viene venduto bè, allora il gioco non vale la candela soprattutto per un artigiano che non ha guadagni stellari”.
- Dunque è proprio deciso a chiudere?
- Guardi, io dovevo chiudere cinque anni fa, appena mi accorsi che le cose non andavano come dovevano; però per nostalgia, per attaccamento e passione alla mia professione e all’arte che la nostra regione ha sempre saputo offrire non lo feci ma ora basta, non riesco più a vedere la luce in fondo al tunnel”.
- Del Boscio, questa decisione è irrevocabile?
- Non solo, ma non mi fermerò qui, troverò altre forme per farmi ascoltare e difendere l’artigianato d’arte. Mi confortano i tantissimi attestati di solidarietà che mi giorngono da tutta la regione. Dico che la città di Pescara, il tessuto produttivo di questa città ma anche l’Abruzzo hanno perso un piccolo artigiano ma non l’artista. Mi rinchiuderò dentro il mio studio da dove tirerò fuori ancora il meglio del Vittorio Del Boscio pittore.
“A volte dietro l’ultima nebbia vive ancora la speranza di un sogno perduto”.


19 Settembre 2012

Categoria : Cronaca
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