Camminare… delirando!
L’Aquila – DAVANTI ALLE TOMBE, NEL CIMITERO DEVASTATO, UN PO’ DI SOLLIEVO – (Foto: due immagini del centro come appare oggi e l’autore dell’articolo, Stefano Leone) – Stefano Leone, pilota e giornalista aquilano (ben noto ai lettori di inAbruzzo.com) oggi residente a Pescara, ma spessissimo di ritorno nella sua città, ci invia questa piccola raccolta di sensazioni, provate gironzolando per la città. E’ una testimonianza toccante che chi suole aggirarsi per la cosiddetta zona rossa non può che condividere con profonda amarezza.
“E’ una calda domenica mattina di fine agosto; la luce è quella che conosci della tua città, una luce chiara, limpida che si serve dell’aria tersa e asciutta per disegnare ancor meglio i contorni degli orizzonti tutt’intorno dove, montagne imperiose e colline alberate fanno da cornice.
Decidi che, non avendo la possibilità di farlo spesso, è il caso di approfittare della presenza in città per fare una passeggiata centro; non tanto per rivedere ancora una volta la tua città dilaniata, ferita e ancora piena di cicatrici che raccontano di dolore e rabbia ma in cuor tuo l’intento è di incontrare facce conosciute, sguardi che consentano di rivedere chi magari non vedi da mille anni ed essere felice nel pensare che quella notte la scampò.
Ero andato via dalla mia città, dalla mia gente che ero poco più che un ragazzo; assorbito dal totale entusiasmo nel voler diventare un pilota, lasciai questi posti, gli amici di sempre, gli ex compagni di scuola che iniziavano anche loro ad intraprendere strade diverse.
Lasciai soprattutto mia madre e mio padre, le comodità e i capricci di figlio unico cresciuto però all’ombra di una educazione severa e copiosa di fierezza, orgoglio, sincerità e morale.
Da allora non c’è angolo del pianeta che non abbia visto disegnato il profilo della mia ombra ma, la mia città mai è svanita dalla mente.
Nonostante la casa dei miei fosse a 5 minuti a piedi dal centro, decido di entrare in città arrivando con l’auto nella zona Villa Comunale.
Non faccio fatica a trovare parcheggio e scendo dall’auto; inizio a muovermi guardandomi intorno: al centro della Villa comunale piccoli casotti di legno simili a minuscole baite, espongono oggettistica in vendita; qualche coppia ferma a parlare tenendo a freno l’esuberanza vitale dei bambini che insieme si scatenano.
Passo davanti ai casotti di legno, allungo lo sguardo e il pensiero mi va ai sacrifici che quei piccoli artigiani stiano sopportando con fierezza autentica per continuare una vita che abbia parvenza di normalità; inizio a risalire Corso Vittorio Emanuele II che mi porterà fino in Piazza del Duomo.
L’aria è calda, le persone si muovono lente; mentre cammino guardo ogni faccia, ogni fisionomia, cercando ricordi di conoscenze di tantissimi anni prima: nulla! Facce sconosciute, accenti e dialetti di altri luoghi e anche lingue straniere.
Continuo a camminare lento e quasi dissociato, continuo la mia ricerca: nulla! Dov’è la mia città? Dove sono le persone che conoscevo? La mia gente. La cerco, la voglio. Rivoglio quelle facce, gli sguardi e quelle voci. Il mio incedere diventa sempre meno rilassato e costantemente più malinconico; vedo solo gente con pantaloni corti, canotta e copricapo, in mano o a tracolla l’immancabile digitale più o meno professionale. Sono qui solo per la curiosa tetra voglia di portarsi a casa immagini di una città dilaniata e ferita poi, poi nulla, torneranno ai loro impegni, al loro lavoro alle loro …case!
Dov’è la mia città? Dove sono le persone che conoscevo? Vi prego, qualcuno mi dica qualcosa!
Arrivo in Piazza del Duomo e scorgo i portici riaperti al passeggio: deserto, nessuno! Eppure è una bellissima domenica di fine agosto, sono passati ventotto mesi da quella notte e i portici sono ancora un deserto. Dov’è la mia città? Dove sono le persone che conoscevo?
Guardo angoli, luoghi e percorsi che mi hanno visto crescere e ora neanche un: “ Ciaooo, come stai?” nulla, nessuno; in lontananza sento una musica, mi fermo, ascolto meglio, si è un musicista che suona musica live fuori da uno dei bar del centro.
Una parvenza di normalità; getto l’occhio ai tavoli dell’aperitivo, troverò qualcuno conosciuto mi dico; nulla, niente, solo dialetti e accenti di altri luoghi.
Decido, torno indietro facendo il percorso inverso per tornare alla mia auto; sono vuoto, guardo ma non vedo, sento ma non ascolto, penso ai miei genitori, penso alla mia città, penso alle gente, tantissima, che conoscevo e mi sento vuoto.
Improvvisamente un forte senso di rabbia mi sale su e una sola domanda mi viene nella mente: “Perché?”. Forse un po’ di pace la troverò nel pomeriggio quando varcherò la soglia del cancello del grande cimitero cittadino anch’esso disadorno e sciatto; li troverò mio padre e mia madre e davanti a loro forse, troverò momenti di sollievo”.
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