Un “occhio” speciale sui terremoti
Teramo / Terremoti: esperimento GIGS ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn, un “telescopio” puntato verso la Terra. Per risolvere il problema del “deficit di scorrimento sismico”. Intervista al professor Luca Crescentini, scienziato teramano realizzatore della Stazione Interferometrica dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Studia i terremoti sotto al Gran Sasso, insieme a sua moglie. Ha un sogno nel cassetto: svelare i segreti del più naturale dei fenomeni, così vicino ed attuale, ma così lontano dalla cultura della prevenzione e della previsione del rischio sismico in Italia, prima dei disastri. “Valgano in Europa gli esempi di California e Giappone”, avverte il professor Crescentini.
(di Nicola Facciolini)
Nella massa rocciosa del Gigante che dorme, presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Lngs-Infn), tra le province di L’Aquila e Teramo (Regione Abruzzo), è installata da anni un’avveniristica Stazione Interferometrica Laser, per lo studio delle deformazioni crostali e dei terremoti, che ha finora prodotto ottimi risultati scientifici a livello internazionale. E’ un “telescopio” puntato verso la Terra. Strumentazioni uniche al mondo. Le sofisticate apparecchiature geofisiche sono in grado di studiare i movimenti terrestri locali con una sensibilità altissima. E possono fornire un contributo fondamentale alla ricerca scientifica, sia per la verifica dei modelli della Terra sia per lo studio dei meccanismi di origine dei terremoti normali e di quelli “lenti”. Data la loro posizione prossima ad una regione caratterizzata da un elevato potenziale sismogenetico, le sale sotterranee dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso costituiscono un luogo privilegiato per lo studio dei fenomeni sismici.
L’uso congiunto di tutti questi strumenti consentirà conoscenze sempre più approfondite sulle sorgenti dei terremoti nella regione centrale appenninica. Il drammatico terremoto che ha colpito l’Abruzzo durante la notte del 6 Aprile non ha, fortunatamente, causato danni alle persone e agli impianti dei Laboratori del Gran Sasso. Tutti gli esperimenti in presa dati funzionano regolarmente.
Nato a Teramo, vissuto in Toscana, il professor Luca Crescentini si è laureato in Fisica a pieni voti presso l’Università e la Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1981. Dopo essere stato per molti anni ricercatore all’Università de L’Aquila, dal 1998 è professore associato di “Geofisica della Terra Solida” prima presso l’Università di Camerino e successivamente presso l’Università di Salerno.
I suoi interessi scientifici in questi ultimi anni si sono concentrati sulla misura ed interpretazione della deformazione crostale in ambienti con attività sismica o vulcanica. E’ autore di numerose pubblicazioni su prestigiose riviste scientifiche internazionali. La sua attività principale è consistita nella progettazione, nella realizzazione degli interferometri geodetici del Gran Sasso e nell’interpretazione dei dati da essi forniti. Per questa attività, il professor Crescentini si avvale della stretta collaborazione della dott.ssa Amoruso con la quale è capo della Stazione Interferometrica ai Laboratori del Gran Sasso (GIGS).
Professor Crescentini, cosa ha misurato GIGS durante la terribile sequenza sismica aquilana dal 6 aprile 2009 in poi? I vostri strumenti cosa hanno osservato? Quale ne è stata la causa?
“Premetto che la dottoressa Amoruso ed io abbiamo vissuto per molti anni, fino all’estate 2005, a L’Aquila e ne conserviamo un bellissimo ricordo. Il dire che ci sentiamo vicini ai nostri concittadini rende conto solo in minima parte dei sentimenti che proviamo. Per quanto riguarda gli interferometri del Gran Sasso, lo stesso 6 aprile avevamo provato a collegarci da remoto, senza successo, ad essi, e per alcuni giorni abbiamo temuto che il forte scuotimento li avesse messi fuori uso. Poi, con la riattivazione della rete interna ai laboratori sotterranei, ci siamo resi conto che entrambi gli interferometri avevano continuato a funzionare regolarmente, producendo così una serie di dati unici. Le ore ed i giorni successivi all’evento presentano chiari segnali deformativi di grande interesse scientifico, su cui stiamo letteralmente lavorando giorno e notte. Al momento preferisco non dire di più: si tratta appunto di dati unici, che non possono essere analizzati ed interpretati con le tecniche usuali e ben collaudate della sismometria classica, come si fa per i sismogrammi. In ogni caso, le informazioni che stiamo ricavando dall’analisi di questi dati sono, per ora e chissà per quanti anni a venire, di puro interesse scientifico e senza possibilità di utilizzo diretto per la previsione sismica, che allo stato attuale delle conoscenze rimane una chimera. Per quanto riguarda la causa della crisi sismica, i lettori sicuramente già sanno sul regime tettonico distensivo dell’Appennino ed i conseguenti terremoti di faglia normale”.
Che cosa sono i “sismometri”?
“I sismometri misurano lo spostamento nel tempo di un punto del suolo. Essendo fondamentalmente basati sul principio di funzionamento del pendolo, sono sensibili ai movimenti di tipo oscillatorio. La loro sensibilità diminuisce drasticamente quando il periodo delle oscillazioni, cioè l’intervallo di tempo corrispondente ad una oscillazione completa, si allunga. Anche i migliori sismometri non sono in grado di riprodurre accuratamente i movimenti del suolo con periodi maggiori di poche centinaia di secondi. Questa limitazione non ha comunque eccessive conseguenze nella registrazione delle onde sismiche, che usualmente fanno oscillare il suolo con periodi minori. Il Centro Nazionale Terremoti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (www.ingv.it) aveva installato, all’interno della stazione interferometrica del Gran Sasso, uno strumento in grado di registrare oscillazioni con periodi di oltre 300 secondi. Sfortunatamente, lo strumento è stato disattivato oltre un anno fa e recentemente rimosso. L’insieme di questo tipo di sismometro e degli interferometri, avrebbe potuto fornire dati scientificamente ancora più completi”.
Cosa misurano gli interferometri laser del Gran Sasso? Hanno per caso registrato la profonda deformazione crostale ripresa dai satelliti?
“Gli interferometri laser del Gran Sasso sono stati realizzati principalmente grazie ai finanziamenti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. La loro manutenzione e gestione sono state ultimamente garantite da un accordo di programma fra l’Infn e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Non posso però nascondere le grandi difficoltà economiche e logistiche che abbiamo avuto sempre, ma soprattutto negli ultimi anni. Ciascuno dei due interferometri geodetici del Gran Sasso, ospitati in due gallerie minori del laboratorio sotterraneo, disposte ad angolo retto (90°) e adiacenti a quelle principali, misura con continuità e con grande accuratezza come cambia nel tempo la distanza di due punti posti a 90 metri l’uno dall’altro. Possono essere misurati cambiamenti di distanza anche più piccoli di un milionesimo di millimetro su una base così ampia. La sensibilità non dipende dal tempo caratteristico del cambiamento di tale distanza: questo permette di registrare fenomeni “veloci” come il transito di onde sismiche, ma anche fenomeni deformativi “lenti” quali le maree terrestri, indotte dall’attrazione gravitazionale della Luna e del Sole e che hanno un’origine analoga alle ben più note maree marine – le variazioni di distanza causate dalle maree terrestri, fra i punti di riferimento dell’interferometro, sono di millesimi di millimetro – o le variazioni stagionali dell’altezza della falda acquifera del massiccio del Gran Sasso, che corrispondono a variazioni di distanza di circa un decimo di millimetro o ancora le oscillazioni libere della Terra, con periodi di migliaia di secondi”.
Cosa sono i terremoti “lenti”? Questi fenomeni sono stati osservati anche poco prima delle crisi sismiche più recenti nell’Italia centrale?
“Le caratteristiche dei nostri strumenti hanno permesso la registrazione di decine di eventi deformativi non oscillatori, con tempi caratteristici variabili da alcune decine a migliaia di secondi, concentratisi soprattutto nella primavera-autunno 1997. Gli eventi sono stati interpretati come terremoti “lenti”. La sequenza osservata, oltre a fornire nuove importanti informazioni sulla dinamica delle faglie, ha permesso di comprendere meglio le interrelazioni tra eventi sismici che avvengono in diverse zone dell’Appennino. A causa dei continui lenti movimenti che hanno luogo nella terra, la crosta terrestre si deforma immagazzinando energia elastica. Le deformazioni, e di conseguenza gli sforzi accumulati in decenni o secoli, si possono rilasciare improvvisamente attraverso rapidi scorrimenti ai due lati di spaccature della crosta stessa, dette “faglie”. Questo rapido scorrimento produce un terremoto che rappresenta quindi il rilascio violento di energia elastica. A volte, lo scorrimento avviene troppo lentamente perché si generino onde sismiche osservabili con i comuni sismometri e sismografi. In questo caso gli eventi, detti appunto terremoti “lenti”, sono visibili solo attraverso le deformazioni permanenti del suolo ad essi associati. Se, come spesso avviene, le deformazioni sono piccole, sono necessari strumenti particolarmente sensibili, situati molto vicino alla sorgente degli eventi, per osservarle. Gli interferometri geodetici del Gran Sasso sono uno dei pochissimi strumenti al mondo, e l’unico in Italia, idonei allo scopo. Questo spiega lo scarso numero di eventi del genere registrati altrove. Anche se i terremoti lenti non producono danni, possono rivestire un ruolo importante nel rilascio e nella ridistribuzione degli sforzi: pertanto, anche nella definizione del rischio sismico”.
Quali sono stati i risultati scientifici più significativi forniti dagli interferometri del Gran Sasso?
“Probabilmente, fino ad ora il risultato scientifico più rilevante riguarda proprio l’osservazione e lo studio degli eventi lenti registrati nel 1997. Il nostro lavoro ha portato ad una migliore comprensione del processo fisico che è alla base degli scorrimenti lenti di faglia e, quindi, dei meccanismi di frattura della crosta terrestre, nonché alla identificazione della possibile sorgente, posta nella regione del massiccio del Gran Sasso. Pur non essendoci alcun legame diretto di causa-effetto fra i singoli eventi sismici usuali avvenuti in Italia centrale nello stesso periodo ed i singoli terremoti lenti avvenuti nella regione del Gran Sasso, la collocazione spazio-temporale degli eventi lenti rispetto a quelli usuali, ha anche suggerito che un unico processo di ridistribuzione degli sforzi, su scala regionale, possa aver interessato gran parte dell’Appennino centrale. Dieci anni fa, per primi notammo e pubblicammo che il momento sismico dei terremoti lenti dipende dalla loro durata in maniera completamente diversa dai terremoti usuali. Questo risultato è stato confermato e rifinito otto anni dopo da colleghi giapponesi, usando un grandissimo numero di dati da tutto il mondo, relativi a fenomeni in qualche modo riconducibili ai terremoti lenti. Altri risultati di notevole interesse riguardano le oscillazioni libere della Terra eccitate dal terremoto di Sumatra del 26 dicembre 2004: l’analisi dei dati degli interferometri del Gran Sasso ha portato ad ipotizzare un’inaspettata interazione tra l’azione dello tsunami sulle coste dell’Oceano Indiano ed le oscillazioni torsionali della Terra nel suo complesso. Ancora, uno studio accurato delle maree terrestri su quattro anni di registrazioni al Gran Sasso ci ha recentemente permesso di ottenere informazioni sulla cosiddetta nutazione libera del nucleo terrestre, analoghe a quelle che altri hanno potuto ottenere solo con un’analisi congiunta di molti anni di dati satellitari e gravimetrici prodotti da numerose stazioni situate in varie parti del mondo”.
Grazie a questi esperimenti geofisici del Gran Sasso, sarà mai possibile un giorno predisporre tecnologie in grado di “prevedere” i terremoti in tempi e luoghi utili e certi, rivoluzionando così la cultura della “prevenzione” del rischio sismico in Italia, come hanno già capito in California e in Giappone?
“La previsione sismica, intesa come previsione del verificarsi, in tempi e luoghi certi, di gravi crisi sismiche, è sfortunatamente un problema ancora non risolto. Per alcuni scienziati, è addirittura intrinsecamente irresolubile. La realizzazione, in località appositamente scelte, di altri strumenti analoghi agli interferometri del Gran Sasso potrebbe aiutare a fornire informazioni utili ad una migliore comprensione dell’insorgere e dell’evoluzione di una crisi sismica. Sia ben chiaro: non è che oggi in California e in Giappone “prevedono” i terremoti. Quello che lì hanno capito molto bene, è che un monitoraggio continuo ed accurato delle deformazioni della crosta terrestre, effettuato con numerosi strumenti scientifici, è importante nell’ottica di quanto detto sopra e, per questo, vi hanno investito capitali ingenti. Altra cosa è la prevenzione dai danni di un terremoto, cioè una reale costruzione corretta, fatta a regola d’arte, degli edifici pubblici e privati: in questo campo sia la California sia il Giappone sono sicuramente molto più avanti di noi”.
A che cosa servono le misure di deformazione crostale operate dal progetto GIGS?
“Le misure ad alta sensibilità delle deformazioni della crosta terrestre sono fondamentali per lo studio di vari fenomeni geofisici, fra cui le oscillazioni libere della Terra (sia sferoidali sia torsionali), le maree terrestri, gli scorrimenti asismici, le dislocazioni cosismiche e l’accumulo stesso di deformazione. Negli ultimi anni una nuova tipologia di sisma, i cosiddetti terremoti lenti, sta attirando l’attenzione della comunità geofisica, anche al fine di risolvere il problema del “deficit di scorrimento sismico”. In breve, gli scorrimenti di faglia associati ai terremoti usuali rendono conto solo di una frazione del movimento relativo delle placche tettoniche. I terremoti lenti possono colmare parte di questo deficit senza la produzione di onde sismiche e, quindi, senza essere rilevati dai sismometri. La loro rilevazione, anche con misuratori di deformazione di elevata qualità, è piuttosto difficile, vista la forte dipendenza dei loro effetti deformativi dalla distanza della faglia sorgente. La rilevanza dei terremoti lenti nei processi sismogenetici, è ancora un problema aperto, ma la loro esistenza e le loro caratteristiche confermano non solo l’ipotesi che i fenomeni di rottura e scorrimento sulle faglie possano avvenire con tempi caratteristici molto diversi, ma anche che la “lentezza” tipica di questi eventi possa essere dovuta sia ad una propagazione lenta della frattura sia ad una bassa velocità di scorrimento sia ad entrambe le cause. Lo scavo delle gallerie autostradali e dei Laboratori Infn sotto al Gran Sasso, ha consentito l’installazione di un interferometro laser per la misura continua ad alta sensibilità della deformazione della crosta terrestre, lontano dalla superficie”.
Come lavora GIGS?
“Un interferometro in configurazione di Michelson (come quelli del Gran Sasso) misura la differenza in allungamento di due segmenti (bracci). La stazione interferometrica del Gran Sasso è stata progettata per misurare i cambiamenti di distanza tra tre punti di riferimento, posti ai vertici di un triangolo rettangolo isoscele. Da maggio 1994 ad ottobre 1995 è stata misurata la deformazione di un braccio lungo 90 metri (azimuth= N66E) approssimativamente perpendicolare alla direzione locale degli Appennini, usando un riferimento lungo 20 centimetri (azimuth= N24W). Da dicembre 1995 a settembre 1998, sia il braccio di misura sia quello di riferimento hanno avuto lunghezza pari a 90 metri. In questa configurazione, le fluttuazioni in frequenza del laser non potevano generare falsi segnali di deformazione crostale, ma poteva essere misurata solo una componente della deformazione di taglio. Attualmente gli allungamenti dei due segmenti di 90 metri sono misurati indipendentemente; viene però usata un’unica sorgente laser in modo che la differenza fra i due segnali sia comunque indipendente dalle sue fluttuazioni di frequenza. Fino al 31 gennaio 1996 il rateo di campionamento era variabile; nel seguito si è preferito utilizzare un rateo fisso, pari a 0.5 Hz fino a settembre 1998, a 5 Hz fino a marzo 2005 ed a 600 Hz successivamente”.
Qual è la sensibilità di GIGS?
“La sensibilità nominale dell’interferometro è di circa 3 x 10-12 (tre per dieci alla meno 12) unità di deformazione ed il tempo di risposta è dell’ordine dei millisecondi. Lo strumento è stato in grado di registrare, senza effetti apprezzabili di non linearità o di isteresi, onde tele-sismiche di grande ampiezza (sei per dieci alla meno sette, 6 x 10-7) e segnali veloci ( dieci alla meno sette, 10-7 s-1). La reale sensibilità dello strumento è limitata dal livello di rumore del sito, la cui densità spettrale di potenza segue l’usuale andamento noto. Fra i segnali registrati si possono menzionare le maree terrestri, le onde tele-sismiche ed i terremoti lenti. Per qualche anno, la strumentazione geodetica della stazione interferometrica ha compreso anche un clinometro ad alta sensibilità, realizzato dal CNR-IFSI. Era anche stato installato dall’INGV-Centro Nazionale Terremoti un sismometro a banda molto larga (360 s), non più attivo dalla fine del 2007. Il principale risultato scientifico ottenuto fino ad ora, è rappresentato dall’osservazione ed interpretazione di più di 180 terremoti lenti avvenuti per alcuni mesi a partire da marzo 1997. Precedentemente erano stati osservati solo alcuni eventi, in Giappone ed in California, ascrivibili a terremoti lenti. Tali eventi erano caratterizzati da segnali di deformazione quasi esponenziali con tempi caratteristici compresi fra un’ora e tre settimane e da variazioni cosismiche maggiori di alcune parti in 10-8 (10 alla meno 8)”.
L’elevato numero di eventi registrati al Gran Sasso potrebbe apparire sorprendente: si tratta di eventi eccezionali per GIGS?
“Dalle osservazioni al Gran Sasso è stato possibile stabilire che l’ampiezza delle dislocazioni cosismiche relative agli eventi lenti, e quindi il loro momento sismico, scala con la radice quadrata del tempo di salita. Una tale legge di scala è in contrasto con l’ipotesi, usuale nella modellizzazione delle faglie, di velocità di rottura costante, ma è in accordo con l’occorrenza di una propagazione lenta della frattura, matematicamente analoga alla diffusione del calore attraverso una piastra.
Una propagazione della rottura siffatta può aver luogo se l’attrito dinamico della faglia è del tipo ad incrudimento per velocità (velocity – strengthening). Le osservazioni effettuate al Gran Sasso pongono quindi forti vincoli sulla dinamica dei terremoti lenti e, più in generale, sulla meccanica delle faglie. Nello stesso periodo in cui al Gran Sasso venivano registrati i terremoti lenti, e dopo più di un anno di assenza di sciami sismici in Appennino, sono stati registrati anche alcuni sciami di terremoti usuali in Italia centrale. Le distribuzioni spazio-temporali degli eventi lenti e della sismicità usuale e la assoluta mancanza di relazione di causa-effetto fra i diversi tipi di eventi, suggerisce che tutti possano essere conseguenza di un unico fenomeno di redistribuzione dello sforzo che ha interessato una larga parte degli Appennini”.
GIGS è in grado di individuare e visualizzare nuove faglie tettoniche?
“La modellizzazione delle osservazioni ha permesso di identificare in una faglia locale, che non risulta essere stata sismicamente attiva in tempi storici, la probabile sorgente degli eventi lenti. A differenza degli eventi lenti che sono stati osservati nelle zone di subduzione e nei pressi di una zona di transizione fra parti bloccate e parti in scorrimento continuo della faglia di Sant’Andrea in California, spesso associati ad eventi sismici usuali, nel caso degli Appennini non è stata osservata alcuna correlazione fra sismicità locale ed eventi lenti. Pertanto, i terremoti lenti potrebbero anche rappresentare un modo di rottura alternativo per una faglia sismicamente bloccata, complicando notevolmente l’interpretazione dei dati geologici e le stime di pericolosità sismica”.
(Nelle foto: Due immagini degli interferometri e una degli uffici esterni del Laboratorio ad Assergi)
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