Concorsone, ansia delusione e ricorsi
Non è che qualcuno lo nasconda: il concorsone, del quale si conoscono ormai i bandi, sarà impugnato e oggetto di ricorsi. Per ora il sindacato tace, non scende in campo, ma neppure esclude le reazioni dei tanti delusi. E dei tanti che pensano ci sia da reagire con la carta bollata. I politici, come fanno sempre quando l’argomento è delicato, mantengono il mutismo di chi capisce (tardi) di non aver avuto voce in capitolo. Il Governo non ha accolto nemmeno uno dei rilievi delle settimane scorse. Ora serpeggiano delusione, ansia, paura che le cose vadano male per centinaia di precari condannati a tornare a casa con il presente e il futuro in frantumi. Dei 600 precari che si contano, infatti, sì e no ci sarà spazio per un quarto e sui bandi si fioccheranno migliaia di affamati di lavoro da tutta Italia.
Se è una feroce cernita che il Governo aveva in mente di attuare, ci è riuscito alla grande. Senza rendersi conto che ricorsi e altre azioni legali avranno un unico risultato: bloccare tutto chi sa per quanto tempo. Compresa la ricostruzione che non potrà cominciare. Sembra di percepire un disegno di pulizia etnica sociale e psicologica, una trama per ferire a morte la collettività aquilana, in tutto questo. Nei bandi, del resto, non sono previste figure di ruolo sociale, ma solo tecnici e burocrati per disciplinare l’andirivieni di pietre, mattoni e cemento. Il tessuto sociale ridotto in pezzi, per il Governo, non ha bisogno di chi possa occuparsene nella ricostruzione. La storia è tutta qua. Un vulnus dopo l’altro e la totale ripulsa dell’unica, disperata preghiera della gente: assumete i precari. Evidentemente, L’Aquila non deve risorgere. Così è scritto, così è deciso. In barba ai ciarloni e ai verbosi politici locali, che ora, di fronte ai cocci, tacciono sconcertati per non aver contato nulla.
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