La manovra governativa sugli enti locali: per l’Abruzzo Aquilano un ritorno al futuro?


L’Aquila – (Immagine da campaniasuweb.it) – Il prof. Enrico Cavalli, docente, studioso di storia, operatore cultura e autore di numerosi scritti e articoli, ci invia un intervento che volentieri pubblichiamo: ” La manovra antirecessione mondiale varata dal governo un anno fa si è concentrata sulla cosiddetta spending rewiew, in specie, dei cosiddetti costi della politica sull’onda della totalitaria indignazione popolare per certe prebende degli amministratori pubblici. C’è stata così la riduzione dei finanziamenti agli Enti Locali e di qui, la cancellazione delle province al di sotto dei 350mila abitanti e di 2500 kilometri quadrati nonché dei piccoli comuni non aventi le risorse per andare avanti autonomamente.
La razionalizzazione governativa degli Enti Locali, sembra essere una sorta di reazione alle ritrosie dei piccoli comuni ad incamminarsi sulla strada delle fusioni, unioni municipali previste dalla legge n.142/8 giugno 1990 e poi dal Dlgs., n.267/18 agosto 2000 come pure il primo colpo alla soppressione ventilata in questi anni della istituzione provinciale giudicata sbrigativamente un inutile doppione della recenti Aree metropolitane nonché inadatta a svolgere il ruolo di ente intermedio fra Regioni e Comuni.
Intanto, c’è la questione della sparizione di ben centosei comuni abruzzesi molti dei quali di grande tradizione sociale ed in linea a quanto succede nel Paese dei mille campanili, subito sono insorti contro il provvedimento governativo dal quale conseguirebbe un risparmi o al massimo di soli 1.150.000 euro, pari al costo annuo di due deputati e mezzo. Anche nell’Aquilano gli stessi sindaci, si badi non soppressi dalla manovra che segnatamente cancella consigli e giunte comunali in nome di una rediviva podestatura, non fanno mistero di appoggiare le fronde governative critiche della manovra fino a minacciare delle mene secessionistiche rispolverando analoghi tentativi avanzati dopo la Grande Guerra da personaggi della politica regionale alla stregua del separatismo sardo. Per scongiurare la scomparsa progressiva di comunità, la soluzione è della gestione associata dei servizi comunali di una area territoriale omogenea senza eliminare gli organismi elettivi è stata formulata dal presidente dell’Anci abruzzese Antonio Centi. Si salvaguarderebbero quelle iniziative di sviluppo esperite da diverse piccole entità territoriali, in primis, Santo Stefano di Sessanio talora citato a sproposito e che almeno ha avuto il merito di smuovere le inerzie della montagna aquilana e rappresentare un punto di visibilità per l’Abruzzo regione verde d’Europa. Entro questa chiave interpretativa sarebbe interessante dare maggiore peso istituzionale alle agenzie di valutazione del virtuosismo amministrativo dei piccoli comuni onde stabilire quali sono meritevoli di incentivi e sostegni pubblici e quali di converso suscettivi di accorpamento. Sono da auspicare le unioni municipali per corrispondere in modo più efficiente ed efficace alle esigenze storiche e nuove delle precedenti comunità di riferimento. Può risultare di esempio ed incoraggiamento per i più piccoli comuni abruzzesi, quanto stanno facendo i loro colleghi dei territori del cosiddetto cratere sismico in tema di condivisa gestione amministrativa su una questione irta di enormi difficoltà quale la veloce ricostruzione. Un modello da seguire per l’economista aquilano Antonio Porto è quello delle recenti unioni di alcuni comuni chietini in nome di un maggiore peso politico, erogazione di risorse statali ed efficiente integrazione dei servizi pubblici. Sempre in ottica di rimaneggiamenti comunali sarebbe possibile la rivisitazione della Grande Aquila. Dal 1945, specie a Lucoli che poi tornò libero comune nel 1947 e ad Arischia e Paganica le popolazioni locali hanno sempre inteso riacquistare la propria autonomia, però, a detta dell’aministrativista aquilano Alessandro Panepucci, non possono sperare in un semplice ritorno dovendo cercare nuove sinergie produttive. Secondo questa impostazione si ipotizza nel comune dell’Aquila un’unità di intenti di Paganica con Camarda, Roio, Pianola e Bagno con Ocre e Fossa e magari le Rocche, Sassa e Preturo con Scoppito, Arischia con Pizzoli, Barete e Cagnano nel segno dell’antico Comitatus Aquilanus. Quanto a L’Aquila, potrebbe sviluppare le sue specifiche competenze, massimamente, per la gestione dei servizi di base nella continuità urbana delimitata dall’aeroporto di Preturo, Gignano, Sant’Elia, fiume Aterno e Monte Pettino.
Il dibattito evolve sul rivoluzionamento delle province che sembra rievocare quello decretato nel 1927, quindi, in era fascista sotteso ad ispessire il controllo di regime tutto sommato in continuità al periodo liberale. I mutamenti dei confini provinciali furono epocali in un area fortemente particolaristica quale la regione abruzzese la cui complessiva divisione in due parti però non più separate dal fiume Pescara, fu sancita nel secoloXII; qui, prese corpo la futura circoscrizione aquilana da Castel di Sangro al Cittaducalese ed a sé stante dal 1641 e quella in estensione dal Tronto alla Majella, in pratica, annoverante le ripartizioni di Chieti a capo dell’Abruzzo citeriore e Teramo capoluogo nel 1684 dell’Abruzzo ulterioreI, mentre, dell’ulterioreII sarebbe stata Aquila anche post 1861. Nel 1927, la nuova provincia di Pescara nasceva grazie a territori sottratti alle circoscrizioni di Chieti, Teramo, e, soprattutto dell’Aquila spogliata del mandamento di Popoli con Bussi ed ai fini della formazione della provincia di Rieti anche dell’ex Circondario di Cittaducale, da cui per reazione municipalistica la costituzione del Grande Comune. L’odierna riforma amministrativa inciderà sugli equilibri della regione palesandosi una sorta di ritorno al futuro per dirla con il film-saga di Robert Zemeckis(USA,1985). Infatti, la politica dell’Abruzzo costiero fissa i termini di una macroregione con Molise e Marche sicchè da parte aquilana si assecondano gli autonomismi del Cittaducalese. Da un lato, è un recepimento del federalismo all’italiana con riguardo alla montante globalizzazione, ma, proprio la parabola della regione molisana nel 1963 giustificata dalla difficoltà di approcciarsi geograficamente e politicamente al capoluogo aquilano, osta ad un simile percorso della macroregione. La cosiddetta Marca Adriatica che funga o meno da corridoio dell’Adriatico e di cerniera fra il Nord e Sud del Paese.denota già nella denominazione uno squilibrio di vocazione geografica a svantaggio delle zone montane le quali hanno avuto storicamente un patrimonio di riferimento municipale non già reggimenti aristocratici e prosperato entro un sistema di economia pastorale non già di interscambio agricolo. Sembra plausibile che le Marche si barcamenino fra gravitazion romagnole e umbro-toscane, mentre il Molise formi la più volte evocata negli anni Cinquanta del secolo scorso, regione sannitica assieme a Benevento, Avellino e Caserta queste ultime, altrimenti, avviluppate dall’Area metropolitana di Napoli e di cui nei secoli proprio Campobasso è stato il granaio come sottolineato lucidamente dal grande storico Raffaele Colapietra.
Dall’altro, fu lo stesso presidente della provincia reatina ad affermarlo appare possibile l’ingresso in Abruzzo della generale entità sabina i cui centri gravitazionali erano prima Teora poi Amiternum. Basti accennare al protagonismo nella fondazione della città di Aquila nel 1254 delle genti cittaducalesi sgomente dinanzi al regio decreto del 1927 eppure appartenenti all’Archidiocesi aquilana fino al 1976. Il ritorno dell’ex Circondario di Cittaducale nell’Abruzzo ulterioreII fu riavanzato nel 1945 dal popolare e poi monarchico Vincenzo Rivera durante la contesa del capoluogo di regione come pure ai moti municipalistici del 1971 dal democristiano Luciano Fabiani nella prospetttiva di una regione Abruzzese-Sabina; non senza contare le ipotesi di sedi distaccate dell’Univaq nell’area e l’ingresso di Amatrice all’ottica di sviluppo dell’Abruzzo quale regione verde dell’Europa e le antiche patrimonialità aquilane di Piscignola e Santogna. Diverse occasioni di uno sviluppo integrato dell’area aquilana e sabina potevano essere colte a livello di migliori comunicazioni con le rotte stradali e ferroviarie per Roma ed il nord, trascurandosi l’indotto socioeconomico della spedita strada verso Antrodoco in attesa della L’Aquila-Amatrice. Il tema dell’atavico isolamento delle zone interne e montane dalle vie di comunicazione nazionale è decisivo per un nuovo rapporto dell’Aquilano non solo con l’eventualità della reunion al Cittaducalese ma anche con la Marsica ed il Sulmonese, non dovendo sfuggire la portata strategica della realizzazione della tratta ferroviaria L’Aquila-Tagliacozzo che agganciandosi per Roma produrrebbe un impulso economico dell’Abruzzo interno. Appare chiaro che si dovrà passare ad una politica regionale attestata su due poli di riferimento: uno, afferente a L’Aquila che grazie al Cittaducalese si rilegittima a capitale amministrativa ed in funzione di uno sviluppo ambientale e delle risorse immateriali, a patto di rivedere la propria strutturazione in grande comune policentrico; l’altro, alla zona aprutina e teatino-pescarese quale area a vocazione industriale e finanziaria in una progressività metropolitana. Ambedue le polarità fungeranno da attrattori socioeconomici verso le altre territorialità e che quindi una volta valorizzate meglio identificheranno una regione che dal lato geografico si presenterà esternamente nella futura Italia federale per una sua fisionomia internamente più equilibrata fra le parti montane e marittime. Così varrà bene l’accezione di Abruzzo voluta nel 1970 all’atto dell’ordinamento regionale rispetto a quella degli Abruzzi come dal costituzionale art. 133, perché andrebbe ad emergere davvero quella regione unificata in grado di rapportarsi ai nuovi baricentri romani ed adriatici, sinora, catalizzatori delle tensioni campanilistiche e verso cui ora si dovrà guardare da posizioni di forza contrattuale non più da quelle di un area ricettrice di impulsi politici e di fruizione di beni e servizi.
Per concludere, le perplessità sui tagli agli Enti Locali, ispirati da logiche di breve periodo più che da una politica di risanamento strutturale vengono dagli stessi settori della maggioranza sensibile ai particolarismi giusta la mobilitazione dei mille campanili. Restano sul tappeto le problematiche di piccoli comuni effettivamente non in grado di governare la cosa pubblica, nemmeno si può sbrigativamente eliminare esperienze amministrative virtuose in nome di una riduzione della spesa pubblica indotta dalle speculazioni finanziarie. Parimenti va risolta la questione dell’abolizione delle province da inquadrare nella criticità delle macroregioni del federalismo. Preliminare a questo difficile tornante può altresì essere un processo di riaccorpamento di circoscrizioni nel Paese, probabilmente, inescante tensioni campanilistiche sebbene rinsaldante gli antichi legami tra popolazioni storicamente omogenee e separate da articiose politiche vecchie e nuove. E’ il caso e ci pare della possibile riunione del Cittaducalese all’Aquilano che conferisce una prospettiva amministrativa altresì corroborante la ricostruzione piena e veloce del capoluogo dell’Abruzzo.


02 Settembre 2012

Categoria : Economia
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