Per non dimenticare
L’Aquila – (di Gianfranco Giustizieri) – La ricostruzione della città di L’Aquila, dopo il sisma, non può dimenticare il percorso della memoria per riallacciare il tessuto sociale e culturale con il proprio passato e proiettarlo verso un nuovo futuro. Ora le macerie, la polvere, le zone rosse impediscono il contatto fisico con la storia della città e del suo territorio, ma molte opere sono state salvate e messe in sicurezza, in attesa di una nuova alba.
Inoltre sta ad ognuno di noi ritessere il legame con ciò che c’era per conservare l’dentità profonda, dettata dalla storia, di un territorio che si mostrerà diverso a fronte di interventi ricostruttivi che non potranno non diversificare le immagini visive che la memoria ci pone davanti.
Così è stato nel passato, ma L’Aquila ha saputo sempre riconquistare la sua identità e trasmetterla alle nuove generazioni.
Nessuno spazio deve essere lasciato alla damnatio memoriae che spesso ha cancellato persone e fatti che costituiscono la forza e il patrimonio necessario per il cammino futuro.
Da qui la necessità , ineludibile, di riposizionare percorsi che il terremoto ha interrotto.
L’aquilana Laudomia Bonanni (1907 – 2002) è stata una delle più grandi scrittrici del ’900 letterario ed in questi ultimi anni molti studiosi si sono avventurati nella riscoperta della sua opera, L’Aquila le ha dedicato un premio annuale internazionale, le Università italiane danno tesi sui suoi romanzi pluripremiati nei più ambiti premi letterari, Convegni sono stati organizzati per approfondire la sua conoscenza.
A questo iter, che non vogliamo che si interrompa per quanto detto sopra, vogliamo aggiungere un piccolo ulteriore contributo.
Nei suoi numerosi scritti, specialmente tra gli elzeviri scritti per i maggiori quotidiani nazionali (oltre 1200), il terremoto è spesso presente in termini evocativi della sua infanzia (il terremoto che distrusse Avezzano nel 1915), leggendari, perchè riconducibili alla tradizione agropastorale, descrittivi secondo l’esperienza diretta dei numerosi scuotimenti che ogni aquilano ha avuto nel corso della vita, oppure semplicemente come cornice di situazioni narrative.
Abbiamo voluto fare una scelta miscellanea di alcuni elzeviri riproponendo passaggi significativi di un’arte di scrittura che non deve essere dimenticata per significare in un particolare, il terremoto appunto, quella volontà di aprire varchi alla damnatio memoriae per non dimenticare.
Il terremoto del 1915 “…quando cadde Avezzano e don Benedetto vi perse famiglia e casa, perciò se ne andò a Napoli e noi perdemmo anche lui (Benedetto Croce)” rimase nella memoria della scrittrice “…fin dall’infanzia la mia memoria è punteggiata dal ricordo di quei tremendi scossoni, il cui nome bastava a far tremare gli adulti…eppure non è un ricordo di paura. Quella è venuta dopo con gli anni e la consapevolezza del pericolo…i bambini hanno risorse impensabili, bisogna tenerlo presente perchè sta a noi principalmente salvaguardarli dai traumi… Stavamo al caldo tra le coltri quando il vento rumoreggiò proprio dentro i muri squassandoli allegramente. Più che la fessura aperta nella volta,larga come una enorme bocca a riso, strano fu che nostra madre, così timorosa del freddo, spalancasse il balcone…I terremoti durarono a lungo… e ci si fabbricò una baracca proprio nostra, di legno nuovo nuovo bianco come midollo di sambuco, con finestrine, l’uscio, i tubi per la stufa e tutto , una casa da fiaba e noi i nanetti”.
Anche la leggenda ha il suo posto perchè”… secondo i pastori del Gran Sasso il fenomeno corre lungo una vena, che se tu arrivi fino giù giù, al Vesuvio all’Etna e all’Africa all’Asia, non fai che camminare sulla stessa vena di quassù anche se tu arrivi fino alla vetta dell’Himalaia. Ascoltato dalla voce, appunto di un vecchio pastore. Quassù dove torno dopo anni, è Campo Imperatore…i pastori, nel sonno del giusto, non avevano avvertito nulla, o non ne avevano fatto caso”.
Oppure ciò che rimase dal terremoto distruttivo del 1703 che fece fare alla Bonanni una curiosa scoperta:”…terremoto catastrofico del 2 febbraio 1703, il giorno della Purificazione, la città venne in gran parte falciata…Nondimeno è rimasto il giglio del terremoto. Lo ignoravo. Mi capitò per caso di scoprire, sulla facciata d’una casetta medievale con bifore, questo piccolo giglio nero in ferro battuto. Uno solo, verso lo spigolo a destra. Piccolo, stilizzato, come il giglio fiorentino. E poi altri, sempre su edifici vetusti, ma diversi, alcuni più ricchi e anche più numerosi. Messi, molto in alto, di qua e di là degli spigoli, a coppie. Giglietti coi petali spiegati, tre, sottili, ricurvi in fuori; quelli grandi a quattro petali esterni e quattro interni, nel mezzo il pistillo con capocchia… Vi stanno da due secoli e mezzo, a testimonianza di gratitudine per essere stati salvati dal disastro. Si tratta insomma dei muri rimasti indenni nel 1703, giorno del terremoto distruttore e giorno della Purificazione. Fiore di devozione. Per grazia ricevuta”.
Infine il terremoto che fa da cornice ad una narrazione “…Si dilatava un alone di paura attorno a lui: la nostra e la sua. Non capivamo che specie di paura fosse – indeterminata, misteriosa, terribile – gl’impediva di chiudere, anche la notte, l’uscio della propria camera. Non una volta, in tanti anni, girò la maniglia…era la Paura…All’alba grigia..il terremoto scrollò… Frangevano i calcinacci, polvere saliva come fumo dal fondo della scala, la scala aveva uno strano andamento. E la sirena del municipio muro a muro, forse avviata da sola, straziava l’aria d’un tetro urlo…”.
Qui terminiamo, gli esempi sono tanti ed è difficile la scelta e ad una lettura attenta possiamo dire: ora come allora.
(Nella foto: La scrittrice aquilana Laudomia Bonanni, morta nel 2002)
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