Se il Grande Ristorante ti lascia affamato…
L’Aquila – (di G.Col.) – Una rimpatriata con vecchi amici dispersi nel tempo e nello spazio, ritrovati per caso, è quel che ci vuole, magari una volta ogni tanto. Molto a lungo, dati i costi delle uscite di casa… E una rimpatriata (almeno per noi che veniamo dal passato remoto) non si fa al fast food, non sia mai detto. Si fa nel Famoso Ristorante Abruzzese, di quelli che compaiono sulle guide blasonate, ti presentano un conto bello saporito ma… ne vale la pena. Scegliamo e andiamo, sicuri della tradizione. Non sbagliamo: il Famoso Ristorante Abruzzese sulla costa è sempre uguale, ovattato, tavagliame di ouro cotone, colori suadenti, tirato a lucido, elegante ma non pacchiano, gente che parla piano, belle donne (dove si mangia bene, fateci casi, ce ne sono sempre, oggi anche straniere, spesso altissime e ultraminigonnate), personale accogliente e in abito scuro. In posti così non trovi mai il tizio in canottiera che vocia, con bambini pestilenziali e moglie grassa dal visto scontento.
D’accordo, il posto è ok, pagheremo caro ma staremo bene, niente tv in sala, l’aria condizionata garbata: non prenderemo i reumatismi nè suderemo per l’afa deprimente della serata. Tutto come nel tempo?
No. Il Famoso Ristorante Abruzzese ha dovuto adeguarsi. Cosa significa? Per restare con la testa fuori dall’acqua, conservare stile e qualità , ha deciso per tutti ferree diete. Mangiare bene, mangiare poco. Gli antipasti sono ottimi, ma infinitesimali come il calcolo newtoniano. Sono numerosi, ma sempre via via più piccoli in piatti sempre più grandi. Inoltre, buoni finchè rimaniamo nel mare Adriatico. Meno quando si servono improbabili sperimentazioni ittiche figlie di ignoti. Non indaghiamo, altrimenti potremmo scoprire pesci che vengono da chi sa dove e chi sa come…
Contornini? Minimi, quasi filiformi, esigui.
Cerchiamo di convincerci che mangiare meno ad una certà età è meglio. Sarà così, ma una sera in cui uno cerca la rimpatriata dopo tanto tempo, uno sgarro potrà anche farlo. No, lo cheff non consente. Primo piatto davvero limitato, benchè buono come tanti anni fa. Vongole minuscole e vaganti in gandi spazi bianchi e ceramici, quelli del piattone semivuoto come il cervello di un teen ager febbricitante di musiche rumorose. Poi c’è il secondo, diciamo così. Scegliamo un piatto tradizionale del locale, stimato e olezzante di profumi di mare come trent’anni fa. C’è, è uguale in tutto e per tutto, meno che nelle dimensioni: quasi invisibile. Il colmo arriva al dessert. Un nome antisonante e stimolante, con melone di stagione. Melone che consiste in due fettine esangui spesse – non esageriamo – due millimetri. Trasparenti.
Il FRA (Famoso Ristorante Abruzzese) ha stretto la cinghia di parecchi buchi. Ma almeno qui c’è menu con prezzi chiari. In altri FRA muori di fame, di spolpano al conto, e di menù, ricevute e prezzi nemmeno a parlarne. Te lo rifiutano, il menu preventivo, decisi e arcigni. “Facciamo noi”.
Il turismo abruzzese è al coma farmacologico, bisogna che qualcuno lo dica all’assessore Di Dalmazio. Se non passa la crisi, a tavola ti porteranno le fotografie dei piatti e uno spruzzetto di profumo gastronomico. Il caffè chiude la serata: in pratica nella tazzina non c’è che il colore del caffè, profondità del liquido versato in tazza equivale a meno di un terzo di un cucchiaino piccolissimo.
Una volta a casa due spaghetti alio, olio e peperoncino saranno non una scostumatezza, come una volta, ma una necessità .
Chiediamo lumi all’amico ristoratore aquilano che,a prezzi sostenibili, ancora porta in tavola la fiamminga con mezzo chilo di pasta per tre persone. A volontà . La spiegazione dell’arcano è lapidaria: “Ma io con voi ci rimetto…”. Vai a dargli torto. Inoppugnabile e razionale spiegazione. Siamo alla frutta? No, per carità , costa come l’oro e quasi sempre è pessima. Ha da passà ‘a nuttata…
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