Roseto, “laccio d’amore con L’Aquila”
Roseto – Scrive Ugo Centi: “”La Festa ha dato il massimo in fatto di cultura, musica, poesia: di più non potevamo fare”. Con queste parole Pio Rapagnà ha introdotto la serata conclusiva della “Festa Popolare” di Città per Vivere edizione 2012. Serata dedicata, come dal 2009, al “Laccio d’amore” con L’Aquila e, quest’anno, anche con l’Emila terremotata.
L’Aquila “sismatica”, dunque. E la necessità della prevenzione, della “messa in sicurezza dell’edilizia residenziale pubblica”, chiodo su cui da tre anni Rapagnà (foto) batte la sua richiesta politica. Ieri sera, all’Arena 4 Palme di Roseto, Umberto Braccili, giornalista Rai, ha portato una iniziativa concreta in tal senso, che sta per realizzarsi: Borse di studio in ricordo delle giovani vittime del sisma intitolate, appunto, alla prevenzione: bellissimo.
Ma il prevenire i disastri, in Italia, al di là delle splendite iniziative culturali, come quelle di cui si diceva, è tema politicamente negletto. Semplicemente si preferisce snobbare l’argomento, perché la prevenzione è silenziosa, non dà visibilità , non procura consenso immediato e, soprattutto, riduce i danni dei fenomeni naturali.
In Italia si è sempre preferita un altra strada: quella dell’emergenza a danno avvenuto. Per quello i soldi in qualche modo si trovano; per quello il consenso è garantito, perché la gente a quel punto soffre il danno e chiede la giusta riparazione senza far caso a regole e deroghe; perché il ritorno d’immagine allora è assicurato dall’interesse dei media per le notizie.
Il sisma dell’Aquila è stato l’acme di questo cinico andazzo italiano. Che a tutt’oggi non pare intaccato da alcunché. L’amico Pio Rapagnà ieri sera mi ha chiesto: “Come posso fare, oggi, ad aiutare L’Aquila?”
Lo ha chiesto a me, che sono testimone diretto della sua empatia per la causa della ricostruzione. Fu Pio, tra i primi, a chiamarmi quella dannata notte del 6 aprile; fu lui ad interessarsi per alcune sistemazioni logistiche di tanti aquilani. Ricordo e ricorderò sempre quei momenti, quei gesti, quello “amore” (si, uso questo termine) di Pio, Giovanna e Annallisa. Pochi altri, che ne avrebbero avuto ben donde, ci dimostrarono altrettanto affetto. Ma ieri sera ho dovuto rispondere con l’unica cosa che mi è venuta: “Pio, con quale L’Aquila ti vuoi dar da fare?”
Pio mi ha guardato come fossi un marziano (e un pò lo sono!). Ma il fatto è che io conosco, quel poco. Io so, quel poco. Io penso, quel poco. Ed allora ho chiesto a Pio solo una “testimonianza”, cristianamente intesa, seppur in termini non così radicali, ovvio. Perché Pio ci crede nella ricostruzione. Io no. Io non ci credo. O meglio, la ricostruzione delle cose materiali, presto o tardi, arriverà . Quella che intendo io è un altra ricostruzione.
E’ la ricostruzione che non vorrebbe vedere il terremoto inteso come un “grande condono edilizio”. Che non vorrebbe vedere degli abusi sanati vent’anni fa raddoppiarsi peggiori con la scusa del sisma. Che non vorrebbe vedere speculazioni ed arricchimenti con la scusa del sisma. E non fatemi continuare. Perché io per primo so che la “mia” ricostruzione è impossibile.
Ieri sera, alla Festa – ma spesso mi capita – ho risentito quell’abbraccio di Roseto, quelle strette di mano, quel calore umano che nel 2009 mi colpì subito e che, nel mio cuore, mi fece fare una scelta irreverbile per quel che mi riguarda: “l’essere” a Roseto. Che bella gente c’è qui (intendiamoci, ce n’è anche di meno bella, ma dappertutto). Bella la Festa ier sera. Bella la poesia. Belle le donne e gli uomini di quelle poesie.
Ecco Pio, se vuoi fare un ponte con L’Aquila, dovresti farlo con la stessa bella gente che anche a L’Aquila, certamente c’è. Io qualcuno conosco. Ma non so indicartelo. Perché io stesso, che pur avrei potuto – qualche minima competenza ce l’ho – mi sono ritratto di fronte a quello “spettacolo”, a quelle finzioni, a quel “ridere di notte” che non era solo di qualcuno a telefono a caccia d’affari. Io non so, Pio, che cosa si può fare; io non so come fare. Io so solo ciò che la mia coscienza “vieta” di fare. Ed a quella mi attengo, finché ne ho la possibilità .
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