La ricostruzione non è solo tecnica
( Prof. Flavio Colacito ) – In questi ultimi giorni infuocati non solo dal punto di vista climatico, l’argomento principale di discussione è il maxiemendamento legato al Decreto Sviluppo sul quale si giocherà il futuro dell’Aquila e di tutto il cratere.
Un’occasione fondamentale, che segnerà la fine del commissariamento e l’inizio di una nuova fase che, pur tra alterne polemiche, dovrebbe –il condizionale è d’obbligo- portare alla ricostruzione della città e dei borghi devastati dal sisma del 6 aprile 2009.
Chi saranno gli artefici di tale processo? Certamente i “tecnici” che saranno assunti tramite quello che viene ormai definito il “concorsone di ferragosto”, un bando che presumibilmente dovrebbe uscire tra il 14 e il 17 agosto, strutturato secondo le “quote” di personale assegnate agli enti locali nel documento approvato recentemente alla Camera.
Fin qui nulla di strano se non fosse che per il Ministro Barca la ricostruzione a L’Aquila sembra essere un fatto solamente “tecnico”, quindi esclusivamente legato ad ingegneri, architetti, geometri, periti, ecc., escludendo dal “concorsone” tutte le altre figure che sono comunque anch’esse parte integrante di una ricostruzione tout court vera, che dovrebbe curare gli aspetti materiali assieme a quelli sociali, perché prima ancora delle case bisogna badare ai problemi esistenziali delle persone facenti parte di una collettività disgregata sul territorio e senza servizi, segnata nel corpo e nello spirito.
In questo maxiconcorso che darà un posto a tempo indeterminato a 300 persone in un momento dove l’idea stessa di un lavoro pubblico è un sogno, in netta controtendenza con gli stessi orientamenti governativi indirizzati alla ferrea logica della spending review, sarebbe logico e giusto garantire una qualità degli interventi attraverso un modello di ricostruzione tecnica e sociale allo stesso tempo, dando uguali possibilità di accesso alle selezioni pubbliche a tutti, compresi gli operatori e gli specialisti che hanno lavorato nei vari enti a sostegno della popolazione fin dal 2009, visto che il 50% dei posti è riservato a chi ha prestato servizio per almeno un anno nella ricostruzione.
È fondamentale sottolineare queste strane quanto inopportune scelte del Ministero, perché sembrerebbe che chi redige le bozze di programmazione che poi diventano definitive per legge non conosca affatto la realtà dei territori colpiti dal sisma, del disagio sociale presente nelle new towns, della solitudine degli anziani, dei non autosufficienti, della mancanza di luoghi deputati alla socializzazione, del malessere esistenziale che attanaglia i più fragili, della totale assenza di una dimensione di vita incentrata sulla banale ma necessaria “normalità”.
Se a livello politico si è sottovalutato questo importante aspetto, in città sono molti quelli che stupidamente continuano a sorvolare sull’argomento, mentre solo di recente qualche segnale arriva dal Comune in merito all’opportunità di inserire tra le figure professionali alcuni specialisti nel settore sociale alimentando il solito chiacchiericcio polemico, visto che in ballo ci sono ben 128 posti assegnati a tale ente.
In Italia, contrariamente a quanto accade in tutti gli altri paesi del mondo civile, si continuano a considerare le problematiche sociali come qualcosa di serie B, di sacrificabile, mentre mai quanto ora sarebbe necessario impegnarsi con tutte le energie per evitare che il disagio diventi malattia con costi elevati sull’assistenza sanitaria, un motivo in più per fare presto e bene a L’Aquila dove –tanto per smentire i soliti “struzzi” avvezzi a seppellire pavidamente la testa sotto la sabbia calda d’agosto- siamo in pieno allarme sociale, come testimoniano ampiamente i dati sul consumo di psicofarmaci, sull’abuso di sostanze alcoliche e di droghe, sulla microcriminalità adolescenziale, nonché l’aumento vertiginoso delle turbe depressive e dell’insonnia in vasti strati della popolazione dell’hinterland aquilano.
L’Aquila si trova ad attraversare un momento di grave crisi connessa alla sua identità, perché sono gli stessi aquilani che ogni giorno vanno alla ricerca della loro, divisi tra centri commerciali e new towns, mentre nei casi più gravi molti tra questi – non automuniti- vivono solo le realtà alienanti dei nuovi insediamenti provvisori che appaiano più definitivi di quanto vogliano essere.
Per questo motivo su tali incompletezze non si può transigere e ogni aspetto che non contemplerà un organico con personale eterogeneo e non solo “tecnico”, non potrà che essere considerato un misero fallimento, tenuto anche conto del paradosso che la Provincia, per esempio, è attiva con un progetto di ricostruzione tecnica e sociale dal 2011 facente capo alla direzione generale con personale diviso per competenze che, sempre attenendosi a quanto prevede il maxiemendamento, rischia di non poter accedere con pari diritti e opportunità alle selezioni per il tempo indeterminato.
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