Rugby, L’Aquila ripescata e Mascioletti


masciolettiL’Aquila – (di Pierluigi Giammaria) – Tropo facile e troppo difficile, per un aquilano, parlare dell’Aquila e di Massimo Mascioletti. Partiamo dal secondo, che da giocatore è stato un po’ come Konrad Lorenz con gli anatroccoli: un imprinting devastante. Ci ricordiamo ancora, perfettamente (in rappresentanza di tutte le 200 e passa segnate in A) la meta contro Rovigo nell’anno 1979, partendo dai 22 in difesa. Secondo me se la ricordano pure a Rovigo. Rob Louw voleva portarselo in Sudafrica e Pierre Villepreux, Sua Maestà il Rugby, disse, consegnandogli la maglia n. 14, che poteva essere quella di qualunque nazionale al mondo. Fermandoci con l’agiografia; la questione è che da tecnico ha fatto quasi lo stesso, a cominciare dallo scudetto del ’94 contro l’International Milan (‘Gino, Gino, Gino’, abbracciando Troiani, col povero Marcozzi che implorava una dichiarazione: indimenticabile), per continuare col grande lavoro fatto alla Capitolina e per finire (o ricominciare) con L’Aquila, la nuova L’Aquila che dopo la retrocessione da imbecilli provava a ripartire, faticosamente, col poco che il tessuto economico della zona offre, ma col tanto che la passione aquilana sa dare. Col terremoto, l’ennesimo capolavoro. Provate voi ad allenare una squadra sfollata, con i giocatori che (giustamente) pensano ai familiari e comunque, con la perdita di Sebastiani, hanno la morte nel cuore; stipendi e rimborsi poi…. Due partite brutte con la Lazio, eppure si passa; col Prato, super attrezzato, super corazzato eccetera, ci manca proprio un pelo. Due calci sbagliati, Moreno che sbrocca, eppure i toscani hanno bisogno dei supplementari. ‘Credo solo in Mascioletti’: striscione del Flaminio; ora e sempre. Oh certo, nella carriera di San Massimo c’è, anzi ci sarebbe, la macchia, la deficitaria esperienza dei mondiali ’99. Nossignori, non è una macchia, ma semmai una prova dei valori e della lealtà dell’uomo. Un altro si sarebbe rifiutato di prendere una squadra sfasciata (nella testa, prima che nel gioco) tre mesi prima del mondiale; lui no, era il vice di Coste e mangiò la polpetta avvelenata sapendo che lo era. E infatti, non uscì dal giro, perché allenò i più giovani: qualcuno mi spiegherà, un giorno, cosa aveva in meno di Johnstone, a parte il cognome anglosassone. Col tempo, poi, una ruvidezza tutta aquilana si è anche andata stemperando. Ora L’Aquila ritorna nella massima categoria, ripescata, richiamata, promossa o come vi pare. È dove, ragionevolmente, deve stare (qua parla il tifoso, scusate) e questa ‘richiamata’, insieme alla inclusione nella rosa di fidi allievi della Capitolina, è la migliore delle notizie. Tra terremoto e scarse risorse, infatti, sarà dura, durissima, c’è poco da star allegri. Ma un vantaggio ce l’abbiamo, ed è proprio questo patrimonio tecnico, sinora, a mio modesto avviso, non apprezzato e valorizzato appieno. Con i fidi Di Marco e Cavallo, con lo staff di sempre (i mitici Di Cesare, preparatore, e Desiati, medico) possiamo tornare a sperare, possiamo pensare di ricostruire sopra rovine che, due anni fa, erano solo della società (che nel frattempo pian piano si sta riorganizzando pure lei) e oggi, purtroppo, anche della città. Su pellaccia e tigna, ci metto la mano sul fuoco; certo, un po’ – non dico di fortuna ma – meno sfiga non farebbe male: 24 ore prima di scrivere queste note, altra scossa a 4.5 gradi. E che cavolo. Forza ragazzi, anzi forza quatra’!


26 Agosto 2009

Categoria : Sport
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