Abruzzo tra province e provincialismi
L’Aquila – (di M.F.) – Se dovessi raccontare ad uno straniero ciò che potrebbe avvenire in Abruzzo, direi pressappoco così. C’è una provincia che sta per scomparire, e per sopravvivere decide di interpellare le province adiacenti, chiedendo ad esse di unirsi in unico ente, dove governerebbe la provincia territorialmente più piccola, una di quelle che, pertanto, rischia di essere cancellata dai libri di geografia. Probabilmente, anche l’individuo più distratto intuirebbe che chi rischia la soppressione non è certo nelle condizioni di chiedere la poltrona più comoda, come parrebbe stia accadendo nel nostro stravagante Abruzzo. Regione strana, la nostra, dove tutte le città e tutti i paesi vorrebbero essere in fondo in fondo Capoluogo. Fa discutere e non poco la posizione presa dal PdL regionale, che qualche giorno fa, in un documento inviato al Presidente Monti, presentava l’idea di accorpare le province di Teramo, Chieti e Pescara. Chissà se il PdL sia consapevole che la Provincia di Chieti, ad oggi, è l’unica delle quattro province abruzzesi a rispondere ai requisiti richiesti dal governo. Una clamorosa svista oppure una mancanza di rispetto per la vecchia Teate? Ai posteri l’ardua sentenza. Vero è che alcuni politici pescaresi potrebbero e dovrebbero avere più considerazione per i propri dirimpettai, ed in generale, per tutti i centri che non siano dotati di un porto-canale.
Una sorta di silenzio assenso arriva invece dal Capoluogo di Regione, dove vige ora più che mai lo slogan Immota Manet. Gli amministratori aquilani si sono ben guardati dall’intervenire in maniera decisa su un tema così scabroso come quello della riorganizzazione delle province, come a voler dire: “noi siamo salvi, azzuffatevi fra di voi”. Unico acuto degno di nota, quello di Del Corvo che, il 18 Luglio, dichiarava alla stampa come L’Aquila avrebbe inglobato tutte le altre province abruzzesi (sembrava e sembra tuttora fantascienza). Chissà perché la politica aquilana voglia rimanere sempre isolata da ciò che accade in ambito regionale. Lo Stato Italiano ha affidato all’Aquila lo scettro di città più importante d’Abruzzo, sarebbe auspicabile, dunque, che chi rappresenti il Capoluogo, adoperi almeno un minuto del suo prezioso tempo per riflettere sulla rimodulazione provinciale di una regione con forti squilibri economici, lanciando perché no, idee su un nuovo assetto di Abruzzo che potrebbe comprendere anche i territori di Isernia e Campobasso e il comprensorio di Cittaducale, per avere maggior peso in ambito nazionale.
Tra un mare di politica c’è anche un po’ di folklore. Un gruppo su Facebook, di come se ne vedono tanti, ha preso molto a cuore la cosa pescarese, tanto da scendere in campo su alcune testate presenti sul web con parole anche molto forti rivolte sia all’amministrazione dannunziana che a due città abruzzesi, (Chieti e L’aquila -ndr-), definite “due cittadine su cocuzzoli”. Probabilmente, ancora una volta, un po’ più di rispetto per due realtà che hanno fatto la storia della regione non avrebbe guastato, come non avrebbe guastato un linguaggio meno aggressivo, fatto di “annessioni e conquiste”, manco fossimo in epoca napoleonica.
Discutibile anche l’atteggiamento del Presidente della Provincia di Pescara, battagliero come non mai. Il 10 Luglio sosteneva che Pescara non sarebbe stata mai subalterna a Chieti, essendo “due città con territori diversi con due storie diverse e uno sviluppo a velocità differenti”. Ma qualche giorno dopo lo stesso Presidente era tra i promotori del suddetto documento del PdL, che prevede l’accorpamento delle tre province adriatiche. Nel documento, presentato alla stampa il 14 Luglio, si legge che: “tale soluzione (l’accorpamento sotto Pescara – -ndr-) collimerebbe con la effettività geografica, orografica ed economica dei territori ricompresi, i quali riconoscerebbero in una unica realtà amministrativa coerente ed organica una omogeneità demografica e storica che favorirebbe e forse agevolerebbe la redistribuzione dei servizi burocratici attualmente accentrati presso le città capoluogo.”
Un controsenso, forse, oppure un dietrofront strategico in pochi giorni, considerato che in tutti i modi, alcuni dei governanti nostrani, vogliono salvare una provincia che ai termini di legge non ha i numeri per esistere. Pare quasi che si voglia trovare il classico “sotterfugio” per bypassare una norma ritenuta, evidentemente, poco fortunata. La telefonata di Mastella a Patroni Griffi potrebbe aver cambiato le carte in tavola, ma è ancora presto per sapere come finirà.
Fa pensare, però, come nessuno dei nostri beneamati politici abbia posato l’accento su un altro tema importante toccato dallo Spending Review. I tagli che si effettueranno sulla sanità e sui servizi sociali sono passati in secondo piano, quando essi nella realtà rappresentano il ridimensionamento più mortificante che uno Governo possa effettuare. Nessuno dei nostri rappresentanti si è battuto arduamente in questo senso, oscurato, probabilmente, dal fuoco del campanilismo che ahimè, agli occhi della nazione, ci rende terribilmente provinciali. Forse è meglio che sia lo Stato a scegliere il nuovo assetto della regione. Si eviterebbero banali litigi e dichiarazioni da parte del politico di turno che lascerebbero il tempo che trovano. Forse non siamo in grado di comprendere cosa sia meglio per noi. Unica voce fuori dal coro quella di Giuseppe Tagliente, che saggiamente ha richiamato i suoi colleghi all’ordine. “Presidenti di provincia e sindaci ci hanno deliziato con roboanti proclami, di sapore indipendentista o imperialista a seconda delle circostanze, dimostrando di non avere una visione globale e soprattutto di conservare una cultura politica poco superiore al livello tribale” – così tuonò il consigliere regionale vastese, probabilmente infastidito da un chiacchiericcio tanto sterile quanto inutile.
Molti amministratori della costa, in una evidente situazione di difficoltà per il loro credo territoriale, hanno esaltato negli ultimi giorni, l’aspetto di una Pescara leader per commercio ed economia. Non sbagliano a fare ciò, ma è giusto ricordare, ad onor di cronaca, i tanti privilegi avuti dal Capoluogo di Provincia adriatico negli ultimi anni. Tralasciando vecchi discorsi di un Consiglio Regionale che si riunisce in due differenti città, (accade solo da noi in Italia, con i conseguenti costi che ne derivano) basta tornare indietro solamente di qualche anno per ricordare come Pescara fu rimessa a lucido nel 2009 con gran parte di fondi regionali e dello Stato, spendendo, in un periodo di crisi, circa 70 milioni di euro, per dei giochi la cui gran parte delle manifestazioni si sono svolte esclusivamente nel pescarese e nel teatino, escludendo brutalmente quella parte di Abruzzo che per qualcuno non conta. Per poi parlare della Zona Franca Urbana, per cui la finanziaria del 2007 ha istituito un fondo di 50 milioni di Euro sia nel 2008 che nel 2009 per lo sviluppo economico e sociale.
Più che un ridimensionamento provinciale, alla nostra regione servirebbe una spartizione più equa delle risorse disponibili, sia a livello di fondi locali e sia a livello di fondi statali. E’ inaccettabile che si discuta per semplici questioni di campanile quando ci sono territori limitrofi con caratteristiche e possibilità totalmente diverse. E’ inaccettabile che alcuni luoghi fagocitino risorse su risorse lasciando alcune zone a bocca asciutta. Si discuta, invece, di come riattivare l’economia nel sulmonese, di come affrontare l’emergenza sisma nell’aquilano, di come ampliare il porto di Ortona, e di come salvare il porto turistico di Pescara, anziché inscenare la classica commedia all’italiana per una mera suddivisione politica della regione. In tempi di austerità fare la guerra tra poveri non ha senso.
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