GSSI, l’Università messa da parte
L’Aquila – Distrazioni autorevoli, o c’è di più? Appare francamente singolare, e incomprensibile per la logica comune, che il Governo non ne voglia proprio sapere di coinvolgere, anche sul piano puramente formale, l’Università nel progetto Gran Sasso Science Institute. Più che una sensazione, una certezza per il rettore Ferdinando di Orio, foto, che ha ha inviato al Ministro dell’istruzione Profumo e al Ministro per la coesione territoriale, Barca, una lettera: “Signori Ministri, prendo atto dell’esclusione del Rettore e di autorità accademiche dell’Università dell’Aquila dalla presentazione del piano strategico del Gran Sasso Science Institute (GSSI) in una giornata significativamente dedicata a “L’Aquila Città degli Studi universitari e della ricerca”.
Ne prendo atto, ma non sono sorpreso da questa grave disattenzione istituzionale.
Fin dall’inizio, infatti, l’iniziativa dell’istituzione all’Aquila della scuola sperimentale di dottorato denominata “Gran Sasso Science Institute”, è stata assunta in assenza di qualunque contatto con l’Università dell’Aquila e con tutto il sistema universitario regionale.
La stessa scelta dei temi sui quali saranno incentrati i corsi di dottorato – fisica delle particelle elementari, matematica, informatica, business administration – non è stata concordata né verificata con il nostro Ateneo.
Se fossimo stati consultati, avremmo forse potuto consigliare la scelta di temi ben più importanti per la nostra regione, come ad esempio quelli legati allo studio e alla prevenzione delle conseguenze dei terremoti, dei disastri causati da fenomeni meteo-idrologici gravi e dell’impatto che questi hanno sul territorio regionale.
Al contrario, alcuni dei temi proposti non hanno e non avranno nessun impatto sull’economia e sulla ripresa economica della nostra regione e, più in generale, sul benessere degli abruzzesi. Essi peraltro non sono originali e a livello nazionale e internazionale sono perseguiti già da istituzioni di grande prestigio.
Queste iniziative, basate sull’utilizzo di risorse pubbliche, andrebbero ponderate e concordate con le strutture territoriali il cui scopo principale è quello dell’alta formazione, anche in considerazione della critica situazione economica che stiamo vivendo.
E’ bene precisare, infatti, che non si tratta di risorse aggiuntive per la nostra regione, perché la copertura finanziaria di circa 13 milioni di euro, andrà a gravare per 6 milioni di euro sulle risorse post-sisma e su 6 milioni di euro sul Fondo per lo sviluppo e la coesione della Regione Abruzzo.
A questi finanziamenti, si aggiungeranno, a partire dal 2013, 5 milioni annui che portano lo stanziamento totale a oltre 30 milioni di Euro. In tempi di spending review è sorprendente che si trovino tanti soldi per un’impresa la cui utilità è tutta da dimostrare.
Si pensi a come si sarebbero potuti utilizzare questi soldi per migliorare la ricettività studentesca di un territorio martoriato dal sisma del 2009 e le strutture per la ricerca applicata dell’Università dell’Aquila.
Mi chiedo, in tal senso, dove fossero i relatori previsti nella giornata di presentazione significativamente – vale la pena ripeterlo – dedicata a “L’Aquila Città degli Studi universitari e della ricerca”, il 7 aprile 2009, mentre docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo lottavano fra le macerie per far ripartire l’Università dell’Aquila.
Oggi che l’Università dell’Aquila è ripartita, prendiamo atto che l’unica iniziativa che assume il Governo dei tecnici è quella di una Scuola di Dottorato totalmente avulsa dal contesto universitario aquilano.
Con questo Governo non saremmo mai riusciti a firmare gli accordi di programma che grazie al precedente Governo – è giusto e doveroso riconoscerlo – ci hanno consentito di superare le difficoltà dell’immediato periodo post-sisma.
Accordi di programma che hanno avuto il grande merito di porre al centro delle strategie di intervento la parte più importante del sistema universitario: gli studenti.
L’esonero delle tasse ha rappresentato sicuramente una delle chiavi fondamentali per la nostra rinascita, che oggi ci consente di salutare con grande soddisfazione il raggiungimento del traguardo – allora insperato – dei 25.000 studenti iscritti.
Questo nostro risultato dovrebbe essere maggiormente considerato, quando si lamentano i bassi livelli di accesso agli studi universitari nel nostro Paese, inferiori alla media OCSE, mentre sono proprio i paesi con adeguati sistemi finanziari di sostegno allo studio, a presentare i valori più alti di accesso all’università.
A fronte di questa situazione, l’unica decisione al momento assunta dal Governo è quella, paradossale, di aumentare le tasse regionali e di consentire l’aumento delle tasse universitarie agli studenti “fuori-corso”, individuati come una sorta di “capro espiatorio”.
I cosiddetti “fuori-corso” sono solo gli studenti più penalizzati dalle condizioni economiche di partenza e, semmai, rappresentano l’effetto di una crisi complessa, la cui causa fondamentale e sostanziale, a mio avviso, è rappresentata dalla carenza di risorse finanziarie.
Basti considerare che l’Italia è uno dei paesi in ambito OCSE con il più basso rapporto tra PIL pro-capite e spesa per studente universitario, pari ad appena il 28.7%. La Cina, gli Stati Uniti, il Canada, la Svezia spendono molto oltre il 50% del loro PIL pro-capite per studente universitario. La Spagna, che pure ha un PIL pro-capite simile a quello dell’Italia, ne spende il 40.2% (cfr. OECD – Education at a Glance 2011). In tal senso, l’obbligo dello Stato di ottemperare al diritto allo studio sancito dalla Costituzione non significa soltanto fornire servizi e strumenti per il pieno successo formativo, ma significa soprattutto far pagare meno le tasse di iscrizione all’Università. Solo in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi le Università sono più care che in Italia: in Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria sono del tutto gratuite, in Germania, Francia e Spagna assai meno costose.
Da un Governo composto per gran parte da docenti universitari, ci saremmo aspettati di più.
Ma, evidentemente, anche rispetto a questa iniziativa dell’istituzione del Gran Sasso Science Institute, si confrontano, in modo del tutto trasparente, due visioni di Università: una tecnocratica che, nell’ossessiva ricerca dell’eccellenza, vede negli studenti solo una variabile accessoria del sistema, e una inclusiva, che crede invece nelle potenzialità di tutti gli studenti, e che lotta ogni giorno perché tutti possano raggiungere il traguardo corrispondente ai loro meriti, indipendentemente dalle condizioni di partenza.
La visione tecnocratica di Università è condizionata dall’interpretazione del «merito» non come un risultato ma come una sorta di precondizione, per cui i meritevoli sono dei predestinati, che il sistema formativo si limita a registrare e a premiare, invece di impegnarsi a creare e determinare.
Un dogma che assume come verità assoluta l’assunto fallace che per premiare i meritevoli – come d’altra parte è giusto – sia necessario e inevitabile puntare sulla categoria dell’eccellenza, enucleando i migliori dal contesto e puntando solo su loro.
E’ questo un approccio, a mio avviso, profondamente sbagliato. Perché “i migliori” sono in realtà i “più meritevoli” e rappresentano l’estremo di una distribuzione continua dei meriti. E’ solo investendo attenzioni, valorizzazioni, risorse su tutta la distribuzione dei meriti che si può determinare il miglioramento di tutta la popolazione degli studenti.
E’ questo processo, nella sua globalità, a determinare la crescita di un paese che vuole essere competitivo nel contesto internazionale, non la presenza di pochi centri di una presunta eccellenza con nessuna ricaduta sul territorio.
Ed è di iniziative che vadano in questa direzione che abbiamo bisogno, non di iniziative come quella del Gran Sasso Science Institute che nascono indipendentemente dal contesto territoriale di riferimento, rispetto al quale non hanno alcuna ricaduta (forse varrebbe la pena di valutare finalmente che tipo di ricaduta sullo sviluppo economico territoriale hanno avuto i Laboratori del INFN del Gran Sasso, soprattutto se confrontato a quello determinato dall’Università dell’Aquila) e che, al momento, non portano una risorsa finanziaria in più ma, anzi, hanno solo l’effetto di sottrarre finanziamenti alla ricostruzione post-sismica e al sistema regionale nel suo complesso”.
f.to Ferdi
Non c'è ancora nessun commento.