Roseto Opera Prima, ultime battute
Roseto – (di Carlo Di Stanislao) – Ultime battute per l’edizione numero 17 del Festival Roseto Opera Prima, con tutte le sette pellicole in concorso sul filo di lana per i premi. La cerimonia conclusiva nell’arena della bella Villa Comunale, con inizio alle 21,30, sabato 28 e, a seguire, “C’eravamo tanto amati”, film-epitaffio di una intera generazione, scritto (con Age e Scarpelli) e diretto da Ettore Scola, dedicato a Vittorio Gasman, splendido protagonista, con Stefano Satta Flores, Manfredi, Stefania Sandrelli e Giovanna Ralli, scomparso a chiusura di riprese e che non fece in tempo a vederlo.
La pellicola, completamente restaurata a cura dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, con fondi della Direzione Nazionale Cinema, è conservata, con altri 1.800 capolavori della cinematografia mondiale, presso la Cineteca del Capoluogo di Regione, terza per importanza storico-archivistica, nel panorama italiano.
Particolarmente curata, dal direttore artistico Tonino Valerii, la selezione di quest’anno, il che ha reso molto difficile il lavoro della giuria popolare, presieduta, come lo scorso anno, da Mario Moretti.
La scelta fra “Cavalli”, del giovane regista milanese Michele Rho, già presentato in concorso a Venezia; “Missione di Pace” del toscano Francesco Lagi, con la tenera comicità di Silvio Orlando e l’eterea interpretazione di Alba Rohrwacher; “I giorni della vendemmia”, del regista emiliano (classe 1983) Marco Righi (il più giovane del Festival); “Sette opere di Misericordia”, dei fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio, con Roberto Herlitzka e Olimpia Melinte, presentato con successo al “Torino Film Festival”; “Sulla strada di casa”, scritto e diretto da Emiliano Corapi e, a chiudere, “Il paese delle spose infelici” di Mimmo Mezzapesa.
Al vincitore andrà un premio in denaro e la Rosa d’Oro, mentre al numeroso pubblico resterà il piacere di aver assistito a spettacoli e racconti di grande intensità descrittiva.
Scopo del Festival, pensato da Tonino Valerii ma reso possibile dall’ineffabile Mario Giunco, vero deus ex macchina della cultura rosetana, è quello di sostenere e diffondere la passione cinematografica giovanile e per il cinema giovane.
Uno scopo davvero poco perseguito in Italia, tenendo conto che consimili iniziative, in giro, sono rare o addirittura rarissime.
Fra queste il premio “Marc’Aurelio Esordienti”, che da tre anni è inserito, come laboratorio creativo, nel Festival del Cinema di Roma, con il Mibac che finanzia lo sviluppo di nuove sceneggiature, collabora alla promozione delle opere prime e seconde finanziate con il Fus e sostiene la produzione di un’opera prima ogni anno.
Progetti analoghi anche al Centro Sperimentale di Cinematografia, che ha stanziato borse di studio per il premio Solinas e collabora con moltissimi festival italiani, da Giffoni a Taormina; ma ora, pare debba ridurre le proprie ambizioni, nel previsto accorpamento con la Direzione Generale Cinema e la necessaria riduzione delle spese.
Ciò che da iniziative come quella rosetana emerge, è la consapevolezza che il cinema non è un’industria che produce solo prototipi, ma esistono anche giovani autori dotati di talento e capaci di sperimentare, scoprire, inventare.
E, ancora, che anche oggi i giovani seguono il cinema con molta passione ed i film guidano e orientano, molto spesso, le loro scelte.
Quello che il Festival di Roseto fa da 17 anni (e lo fa in modo pacato, mai aggressivo o troppo pedante), è far capire al pubblico, soprattutto giovanile, che il linguaggio cinematografico ha una sua grammatica che, intelligentemente usata, permettere l’acquisizione di un buono stile, ovvero uno stile armonioso tramite la conoscenza delle leggi fondamentali e delle regole immutabili che reggono la costruzione del film.
Ed è questo che lega profondamente il Festival alla Lanterna Magica de L’Aquila, che da più lustri, con cineforum e corsi nelle scuole, rende i più giovani capaci di giudicare un film in base ai suoi contenuti e per il suo linguaggio, dimostrando, con vari esempi, che questo si ispira abbastanza da vicino alle grammatiche delle lingue naturali, mutandone solo la terminologia e il percorso: dai piani (=parole), alla nomenclatura (le scale di piano); dal modo in cui si strutturano le sequenze (= frase cinematografica), fino ai vari segni di un’interpunzione (= ritmo e montaggio).
Io, dal Roseto Film Festival, sono fuori dalla giuria (la cinefilia aquilana vi è rappresentata dall’attimo Giovanni Chilante) e quindi mi posso permettere un pronostico, per cui darei la Rosa D’Oro a “Sette opere di misericordia”, film duro e difficile, con personaggi che si dibattono fra ciò che sentono dentro (sempre mutevole) e una lotta continua per la sopravvivenza regolata dal rispetto/rifiuto delle convenzioni sociali (sempre fisse e stereotipate).
La “forma” o “apparenza” è l’involucro esteriore che si sono dati o in cui gli altri li identificano; la “vita” invece è un flusso di continue sensazioni che spezza ogni forma. Ciò che da valore a questo film è la ricerca e capacità dei fratelli De Serio di “raccontare l’invisibile” oltre la forma, attraverso i corpi.
Naturalmente il mio è un giudizio personale e non escludo altre scelte. Vedremo fra pochi giorni, il 28, come si sarà pronunciata la giuria.
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