Lettera aperta alla signora Elizabeth L. Dibble
L’Aquila – Il giornalista aquilano Amedeo Esposito ha scritto una lettera aperta alla signora Elizabeth L. Dibble, incaricato d’Affari ad interim dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America presso la Repubblica Italiana. Questo il testo: “L’onore che Ella, con l’esprimere dopo il G8 la Sua gratitudine e quella dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America a Roma, ha voluto fare agli abitanti dell’Aquila, mi ha toccato, ed ancora mi emoziona, quantunque sia l’ultimo cittadino della mia amata “città ferita”. Una città – la sesta monumentale in Italia – che si è ritrovata idealmente intorno al Sig. Presidente Barack Obama, quando si è soffermato a guardare le rovine di piazza del Duomo, il “cuore antico” pulsante di ogni cittadino, dicendosi poi “aquilano” tra gli aquilani. E’ in quella piazza che si dipanarono nei secoli, a partire dalla metà del Duecento, gli avvenimenti, anche rivoluzionari che riguardarono sempre la povera gente ed i diseredati. Sarà un caso – o forse no! – che il sig. Presidente Obama sia oggi alla testa dei difensori dell’umanità e con caparbietà dei meno abbienti del grande Paese che guida. Sono certo che su quella piazza abbia “ascoltato l’eco lontana” della “rivoluzione sociale” – alla Gandhi – attuata alla fine del Duecento, dal mite, ma deciso monaco Pietro del Morrone, che da Papa Celestino V concesse al mondo le indulgenze plenarie a tutti i fedeli, in precedenza appannaggio solo dei ricchi che le potevano pagare. Fu il primo e più profondo dono fatto all’umanità dolente del tempo, che ancora oggi riceve ogni 28 agosto con solennità, perché non vi siano gli “ultimi”. Come sembra sostenere con fermezza il sig. Presidente Obama, quando si batte perché il Congresso Americano accolga il suo piano per la concessione dell’assistenza sanitaria a 46 milioni di cittadini degli Usa che ne sono privi.
Anche per questo – è mia sensazione – il sig. Presidente deve aver “percepito”, in quella medesima piazza, la lontana decisione di un grandissimo francescano: San Giovanni da Capestrano, sodale di San Bernardino da Siena (due città della costa USA del Pacifico recano i loro nomi), che decise di aprire, nella metà del Quattrocento, con la concezione attuale – con medici e infermieri in servizio anche di notte – l’ospedale “San Salvatore” (semidistrutto dal terremoto nella moderna collocazione), in cui assistere i poveri al pari dei ricchi. Per quanto ne sappiamo, assistere i poveri è obiettivo irrinunciabile del sig. Presidente Obama. Se questi avvenimenti possono apparire lontani, certo non lo è nel tempo il grande entusiasmo con cui gli aquilani (quindicimila, dicono le cronache) accolsero, nel giugno del 1944, i “liberatori americani” ed in particolare il capitano Giliberti dell’Armata Americana, che, nominato responsabile dell’amministrazione civica, sempre in piazza Duomo, diede l’avvio alla rinascita sociale e culturale della città dell’Aquila. Il primo suo pensiero fu per i ragazzi ed i giovani ai quali andava con urgenza assicurata, come avvenne, una nuova istruzione nell’ambito dell’antica e moderna cultura democratica. Fu facile rivificare la secolare cultura della città, concretizzatasi negli anni successivi e ancor oggi nelle varie manifestazioni dello scibile umano. Si pensi agli immensi laboratori di ricerca nucleare costruiti sotto il Gran Sasso. Ed ancora: L’Aquila ha contato fino al 6 aprile scorso quasi un concerto sinfonico al giorno. Senza tener conto dell’attività dei teatri, delle accademie di belle arti, cinematografica etc.
Del resto la città alla fine dell’Ottocento era riconosciuta enclave mitteleuropea, tanto che il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche – come scrive in Ecce Homo – la scelse come sua “città ideale”, che però non fece in tempo ad abitare perché la morte lo carpì prima. Forse di qui deve essere scaturito il “pensiero per i giovani” del sig. Presidente Obama, quando si è riferito alla rinascita dell’università dell’Aquila, come Ella sottolinea nel “grazie agli aquilani”. Quel che conta della solidarietà data all’Aquila dal Sig. Presidente Obama, e dunque da tutti i cittadini degli Usa, non sarà mai possibile contarlo. Rimarrà però nel sentire futuro di una città che certamente risorgerà per vivere le nuove sfide senza mai dimenticare il passato. Ed allora, grazie si deve al sig. Presidente Obama ed a Lei che si è resa tanto efficacemente interprete della solidarietà espressa da ogni cittadino degli Stati Uniti d’America. Occorreranno anni perché la città dell’Aquila torni ai suoi splendori passati per vivere quelli del futuro. Di certo molti cittadini, “ormai nell’alto del pomeriggio della loro vita” (fra cui chi scrive), non vedranno l’avvertito miracolo della “rinascita” della città, ma porteranno in sé, la pienezza della solidarietà espressa dal sig. Presidente Obama. Men che modeste le riflessioni sopra fatte. La prego però di ritenerle profondamente sentite da tutti i cittadini dell’Aquila. M’abbia Suo estimatore. ”
Con ossequio
Amedeo Esposito
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