Stipendi d’oro alla Rai: il caso Gubitosi
- Prof. Flavio Colacito –
Se c’è una cosa che irrita più del dover affrontare una crisi economica dura, con tutti i sacrifici che essa impone, è l’essere presi in giro da un governo che ha imposto come principio il contenimento della spesa pubblica, ma che non lesina lucrosi compensi ai manager della Rai, né posti fissi considerati oramai dei sogni a tutti gli effetti.
Di cosa si parla? È presto detto: Luigi Gubitosi, il neo eletto direttore generale della Rai a 650 mila euro l’anno, un compenso stratosferico che il fortunato continuerà a percepire anche dopo la sua sostituzione, in barba alla logica montiana della flessibilità.
E pensare che, proprio il buon Monti, aveva detto che il posto fisso era ormai da considerarsi fuori moda, anzi “monotono”, alludendo al modo in cui ancora oggi le nuove generazioni desiderino ancora un impiego garantito, magari statale, risultando in ultima analisi “vecchi” nel modo di intendere il lavoro, assecondato in questo dal ministro Elsa Fornero molto incline alle lacrime, altrettanto a farle asciugare subito.
In tempi di austerity capita di vederne delle belle, soprattutto quando il presidente della televisione di stato, Anna Maria Tarantola, si sia prodigata per far sì che Gubitosi abbia avuto la “poltrona” di direttore generale della Rai con voto bulgaro e secondo le modalità esposte sopra, con buona pace dei tanti italiani che pagano il canone.
Insomma una vera presa per i fondelli, una cosa inaccettabile in un momento difficile per gli italiani e per le casse della Rai, uno schiaffo ai tantissimi disoccupati e a chi crede ancora nelle istituzioni che, talvolta, tradiscono in modo beffardo la fiducia dei cittadini esasperati.
Questa notizia giunge nella fase più acuta del delicato tema lavoro, ovvero il cambiamento del famoso articolo 18 legato a doppio filo al concetto di flessibilità e possibili licenziamenti, ora in netta contraddizione con quanto accade in Viale Mazzini.
Se c’è una cosa di cui l’Italia non ha bisogno ora, è l’ipocrisia della casta spiattellata pubblicamente ai quattro venti, come se le persone avessero l’anello al naso e non fossero in grado di trarre le debite conclusioni.
Tuttavia non è solo Gubitosi – comunque un caso limite – a destare perplessità sul sistema delle retribuzioni legate ai super managers senza un limite di spesa, perché anche la stessa Tarantola come presidente percepisce ben 400 mila euro, mentre l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini continua a incassare lo stesso compenso di prima.
L’anomalia dell’Italia risulta ben fotografata in queste cifre da capogiro, mentre c’è chi muore nei cantieri o nelle aziende dove la sicurezza è un optional per paghe misere che non tengono conto del costo della vita e dei beni di prima necessità, con figli alle prese con un livello di disoccupazione ben al di sopra della media europea, mentre il governo appare garantista nei confronti di chi nasce ricco e potente.
Il consiglio dei ministri ancora non ha perfezionato l’iter per i compensi, fissati a massimo 294 mila euro l’anno per i managers pubblici, che in una situazione socio-economica quale è quella attuale sarebbe veramente un segno tangibile per dimostrare che il rigore non si esercita soltanto sulla pelle dei cittadini meno abbienti, riducendo il divario tra un’alta carica dello stato e un comune cittadino alle prese con mille problemi, tasse, incertezze.
Tagliare si può, ma risulta strano e senza logica che uno come Gubitosi prenda meno della metà del primo presidente della corte di cassazione: sarà.
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