Riflessioni: arresti revocati…
(di Carlo Di Stanislao) – E’ tornato libero dopo oltre sei mesi di domiciliari, con decisione presa dal gip di Grosseto, dopo la richiesta della difesa e il parere favorevole espresso dal pm.
Così, ieri, Francesco Schettino, il comandate più screditato del mondo, è stato restituito alla libertà, dopo che, il 17 gennaio, erano stati disposti per lui i domiciliari a seguito della vicenda della “Costa Concordia”, incagliatasi davanti al Giglio, dopo un maldestro “inchino”. Schettino è accusato anche di aver lanciato tardi l’allarme e di aver evacuato la nave quando per molti non c’era più nulla da fare.
Ora Schettino dovrà osservare solo un obbligo di dimora a Meta di Sorrento, mentre le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Grosseto vanno avanti e va avanti il processo, con prossima udienza, la seconda, fissata per il 21 luglio, quando si terrà l’incidente probatorio sulla scatola nera della nave.
Intanto, il comandate che nessuno ci invidia, sta scrivendo la sua versione dei fatti, che dovrebbero uscire per un editore americano: una sorta di “memoriale” che potrebbe chiamarsi “La versione di Schettino” e magari avere successo fra chi, e non sono pochi, ha comprato “Tanto poi esce il sole”, di Barbara D’Urso.
Dagli “arresti domiciliari” escono anche i piccoli ospedali, perché, almeno pare, è scomparsa la norma per la loro chiusura, contenuta nella bozza della spending review, da attuarsi da parte delle Regioni entro ottobre, pena il commissariamento.
A quanto si apprende, il ministro Renato Balduzzi avrebbe vinto la sua battaglia all’interno del governo, sicché della disposizione non resta più traccia nel provvedimento.
Il responsabile della Sanità, ieri, si era posto chiaramente in contrasto con la regola che prevedeva la chiusura delle strutture periferiche più piccole.
“Non può essere lo Stato centrale a dire cosa tagliare nelle varie regioni, dove le situazioni sono diverse”, aveva spiegato Balduzzi.
Sul punto si erano scatenate polemiche ed erano stati fatti vari calcoli.
Secondo i dati del ministero, in Italia ci sono 257 strutture che hanno meno di 80 posti letto (tra quelle singole e quelle accorpate con altre, magari più grandi), ma ogni situazione locale è diversa.
Per questo l’idea di una decisione di tagliare presa a Roma pareva troppo pesante e difficile da applicare nelle varie regioni. Balduzzi ieri sera durante l’incontro con i governatori aveva annunciato di voler cambiare il provvedimento su questo punto.
Il taglio degli ospedali valeva circa 200 milioni, tra l’altro una cifra piuttosto bassa su un totale di 4-5 miliardi attesi, per cui non valeva la pena creare malcontento tra i cittadini.
E’ passata, quindi, la linea del ministero, che rimanda alle singole Regioni la decisione su come intervenire.
Resta dunque un’indicazione a seguire un principio di appropriatezza per le strutture piccole, cioè di eliminazione di quelle che non servono, cosa che peraltro è nota da tempo nei vari territori, ma cadono le imposizioni di taglio.
La spending review mantiene comunque l’obiettivo più generale di una riduzione dei posti letto ospedalieri, che oggi sono circa 4 ogni mille abitanti e in futuro dovrebbero diventare 3,6.
Del resto l’Europa pone il limite ancora più in basso, a 3,3.
L’obiettivo della spending review è di far cassa in tutti i modi possibili, facendo leva nuovamente sui sacrifici e sul sudore dei cittadini, per non aumentare l’Iva a ottobre, per risolvere la questione esodati e per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto in Emilia.
Ma il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), in un rapporto di 14 cartelle, inviato all’esecutivo sulla revisione della spesa pubblica, e al Ministro per i Rapporti con il Parlamento, asserisce che, non solo questa “revisione” non piace ai cittadini, agli avvocati, a Confesercenti, allo Snam, ai sindacati dei lavoratori e neanche ai partiti politici; ma, soprattutto, rischia di aggravare ancora di più la situazione economico-sociale delle fasce più deboli e meno tutelate della nostra società, colpendo in particolar modo dei settori chiave come la sanità e l’istruzione pubblica senza intaccare minimamente i privilegi della casta, gli sprechi del settore pubblico e le esorbitanti spese militari.
La politica di tagli indiscriminati ai servizi sociali, riducendo i diritti e le tutele dei cittadini, non può far altro che aumentare le diseguaglianze e il divario tra i ricchi e i poveri del nostro Paese, scrive Politica24, che, aggiunge, che inaccettabili e vergognosi sono i tagli al Fondo per le vittime da uranio impoverito in quanto lo Stato dimostra di infischiarsene altamente di tutti coloro (civili e militari) che hanno servito la Patria nelle missioni militari all’estero ammalandosi di tumore o leucemie.
In effetti, nelle diverse versioni in bozza trapelate, questa spending review lacrime e sangue per sanità, welfare, polizia ed altro, non sembra toccare minimamente i reali sprechi (come tutti quegli enti e divisioni che non servono a nulla, tranne che ai partiti che si dividono le “poltrone”) e i privilegi della casta politica (benefit, stipendi e pensioni d’oro dei politici); nonostante, in fin dei conti, se l’Italia si trova in questa situazione, a un passo dal baratro e con una crisi economico-finanziaria ancora in atto, non è certo colpa dei cittadini, ma piuttosto di chi li amministra.
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