Le incognite sulla formazione degli insegnanti: t.f.a. inutili, scarse probabilità di lavoro
- Prof. Flavio Colacito –
(Nella foto il Ministro Profumo con il prefetto Iurato durante una visita a L’Aquila) – Che la scuola stesse attraversando un momento di caos lo sapevamo tutti, ma che ci fosse anche la tendenza ad esasperare la situazione con poco probabili prospettive di lavoro, ce l’ha ricordato il Ministro Francesco Profumo con i famigerati T.F.A. (tirocini formativi abilitanti) per diventare insegnanti di scuola media di primo e secondo grado.
È solo attraverso questi tirocini che si potrà aspirare in futuro ad ambire al titolo di “Prof” e, come orami si sa, saranno unicamente gli atenei a formare gli aspiranti nelle varie classi di concorso attraverso rigorosi percorsi di selezione a numero chiuso con posti disponibili in proporzione variabile secondo gli ambiti disciplinari.
Questi tirocini vanno a sostituire integralmente le vecchie S.S.I.S. (scuole universitarie biennali di specializzazione all’insegnamento) , ormai soppresse da alcuni anni, che prevedevano anch’esse il numero chiuso e hanno infranto nel tempo le aspettative di tanti giovani e meno giovani.
Fin qui nulla di strano, perché l’esercizio della professione richiede l’abilitazione, ma la riflessione da fare è sull’opportunità o meno di formare futuri professori in mancanza di posti da ricoprire, visto che, per chi non lo sapesse, esistono già le graduatorie permanenti ad esaurimento con moltissimi docenti anziani abilitati, stralaureati, specializzati, con dottorati di ricerca, che non lavorano da anni, bloccati dai tagli operati a vario livello dai precedenti ministri della pubblica istruzione: in Abruzzo dal 2009 si sono persi oltre 2000 posti di lavoro e per il prossimo anno scolastico il rischio riguarda altre 90 unità.
Ma c’è di più, ovvero l’alto costo che questi tirocini comporteranno per i “fortunati” che li potranno frequentare, ovviamente solo con il possesso di una laurea magistrale vecchio ordinamento o con una laurea specialistica (tre + due) di quello nuovo, con tutti gli esami previsti per parteciparvi, quindi con un percorso complessivo di sei anni dopo i quali ci si dovrà necessariamente candidare ad un concorso pubblico per “vincere” uno dei posti che, a seconda degli ambiti disciplinari, verranno elencati nel bando, perché non sarà permesso in alcun modo di potersi iscrivere con l’abilitazione nelle graduatorie permanenti, poiché esse sono come detto ad “esaurimento” e contengono migliaia di nominativi, i precari “storici” ancora in cerca di una stabilizzazione dopo anni ed anni di servizio, alcuni destinati ad andare in pensione senza aver ancora ottenuto una sistemazione a tempo indeterminato, altri ancora alle prese con il miraggio di un incarico a 18 ore per l’anno scolastico, magari occupando una posizione di tutto rispetto in prima fascia: uno scandalo.
Chi non vive le problematiche della scuola direttamente o non ha mai avuto esperienze in tal settore, non ha idea di quanto sia fossilizzato il sistema, di come sia facile perdersi in vane speranze che come risultato prossimo producono delusioni amarissime e vite bruciate.
Un po’ di dati: i candidati alle preselezioni dei T.F.A. sono 200.000, il che vuol dire un esborso complessivo di almeno 22 milioni di euro. Tra questi solo 20.000 avranno il privilegio di sborsare circa 60-70 milioni di euro per la frequenza dei corsi, garantendo lucrosi introiti alle Università e tra queste anche agli atenei abruzzesi, quando addirittura si calcolano ben 300.000 docenti abilitati pronti all’uso
Gli “affaristi” che organizzeranno corsi preparatori sulla scia dei bandi d’accesso ai T.F.A. indetti dalle Università, si sono gettati a capofitto in un giro economico che frutterà vari milioni di euro, senza tralasciare le case editrici impegnante a stampare libri tematici e quiz , veri palliativi per superare test di accesso che possono prevedere domande tra le più strane.
Ecco l’Italia che cerca di cambiare ricorrendo a sistemi che, anziché tutelare la dignità e la professionalità acquisite da chi ha investito una parte considerevole della propria vita, produce danni generando figure professionali in aggiunta a quelle esistenti che non lavoreranno mai, se non in misura minima rispetto all’esercito di aspiranti che arricchirà le casse delle Università.
Il quadro della situazione appare chiaro e sembra di essere di fronte ad una vera e propria “bufala” che non offre risposte serie al problema del lavoro.
Una sana economia si dovrebbe basare sul salvataggio dell’esistente: prima i precari di lungo corso, poi gli altri da formare in vista di posti sicuri da ricoprire, non una guerra tra generazioni, bensì buon senso per far ripartire una nazione che cerca credibilità soprattutto nei suoi connazionali.
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