Il rischio è far la fine del Pasok
Vasto – (di Giuseppe Tagliente) – Sorto all’indomani della dittatura dei colonnelli, il Movimento Socialista Panellenico, Pasok, è stato il partito che alle elezioni del 2009 aveva ottenuto il 43% dei voti e 16 seggi su 300 in Parlamento. Domenica scorsa, al nuovo turno elettorale svoltosi a poche settimane dallo scioglimento dell’ Assemblea Nazionale, ha riportato il minimo storico, il 12,28% e 32 seggi. In questi dati c’è tutta la parabola in senso geometrico e matematico di un partito che sembrava essere un pilastro della democrazia greca ma c’è anche la parabola in senso figurato di ciò che può accadere ad un partito che si allontana, si isola dalla gente e si mostra incapace di dare una interpretazione della realtà e fornire soluzioni credibili e comprensibili. In questa parabola c’è la lezione per la politica italiana nel suo complesso e per il Partito della Libertà in particolare, che dà ogni giorno che passa l’impressione di consumarsi rincorrendo chimere e fantasmi che risultano difficili da capire ai suoi tradizionali elettori in primis. Dubito che qualcuno ai vertici del centrodestra orfano di Berlusconi abbia riflettuto sulle vicende della vicina Grecia ed abbia meditato sulla morale che deriva dalle sorti del partito di Evangelos Venizelos, diventato l’ombra di quello che fu quand’era guidato da Andreas ( e non George) Papandreou . Almeno a giudicare dall’imperturbabilità della classe dirigente, che continua a ragionare come se nulla fosse successo in questi ultimi mesi, che ignora i segnali emersi dalle ultime elezioni amministrative risultate un bagno di sangue per il PDL, che borbotta qualche timida censura nei confronti del governo Monti anche quando sbaglia, che accenna ad improbabili riforme costituzionali senza affrontare il nodo della nuova legge elettorale, che non si cimenta sul campo delle risposte da dare alla crisi dell’economia e del welfare. L’idea di introdurre poi le primarie nella scelta del leader che dovrà guidare il centrodestra nelle elezioni della prossima primavera, scimmiottando la sinistra e conformandosi acriticamente ad uno dei tanti luoghi comuni della “politica povera” di questo penoso periodo storico, è la prova di questo disorientamento e della confusione che regna sovrana. Ben altro effetto avrebbe l’indizione di un congresso, un congresso vero a tesi contrapposte, che condurrebbe le componenti del partito sul terreno da lungo tempo impraticato e perciò diventato riarso e sterile: quello della ricerca, dell’analisi storica, della elaborazione culturale, del confronto anche generazionale e della sintesi programmatica. Volete capirlo, amici miei, prima che sia troppo tardi?
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