Ricostruzione: il tempo delle risposte


- Prof. Flavio Colacito –
L’Aquila – Ben tre anni sono passati tra alterne vicende che hanno animato dibattiti e proposte sulla famigerata ricostruzione aquilana, ben tre anni di sofferte pene per la città dell’Aquila che ancora sembra non trovare la strada giusta per ripartire.
A pensarci bene, dal governo Berlusconi a quello Monti, ancora non appare chiaro quale sia la ricetta, il piano, la strategia, per fare in modo che dalla teoria si passi alla pratica, dal muto silenzio del centro storico puntellato al dinamismo dei cantieri animati da tecnici e operai, mezzi e macchine in operoso movimento verso un futuro più certo.
Oggi, dal quell’ormai lontano 6 aprile del 2009 (ma solo cronologico), i problemi più grandi sono l’idea della città che si vuole ricostruire, la certezza dei tempi, la reale disponibilità economica, i meccanismi tecnici e burocratici per garantirla con certezza, dubbi che attanagliano le legittime aspettative della popolazione aquilana realmente interessata al proprio territorio, ancora desiderosa di continuare a vivere nei luoghi che hanno accompagnato la vita di ogni individuo, i posti della memoria collettiva, delle relazioni sociali brutalmente lacerate e sfaldate.
L’Aquila è , come tutti sappiamo, la città delle new towns che nell’immediato post terremoto, in piena emergenza, hanno accolto una moltitudine di aquilani offrendo qualcosa in più di un semplice tetto sulla testa, un prototipo di “casa” a tutti gli effetti che è tale a distanza di ben tre anni e sembra rimanerlo ancora, vista l’assenza di una prospettiva di ricostruzione seria e ordinata.
Ora è proprio su questo punto che bisognerebbe riflettere bene, perché sono molti quelli che bollano gli aquilani come ingrati o poco riconoscenti (e forse qualcuno lo sarà pure…), ma facendo così si perde di vista la realtà vera, fatta di persone che nella maggior parte dei casi desiderano solo delle risposte, magari non immediate, ma pur sempre delle comprensibili risposte su cosa accadrà e su quando potranno poter rientrare nelle loro case, ristrutturate o ricostruite a seconda dei casi.
Tutti sappiamo benissimo quanto sia determinante a livello psicologico la certezza di poter riavere la propria casa , luogo essenziale per la vita di ognuno, quanto possa apparire strana l’esistenza condotta in una dimensione provvisoria che ormai si protrae da anni.
Il terremoto dell’Aquila è stato uno degli eventi più disastrosi che l’Italia abbia conosciuto, con quasi centomila sfollati, più di trecento vittime, innumerevoli feriti, ma lontano dalla scia mediatica del primo anno e dai trampolini politici costruiti sulla pelle degli aquilani, è prevalsa nel tempo la litigiosità tra il sindaco Cialente e il commissario Chiodi con i risultati che ben conosciamo.
Appare chiaro come la divisione non abbia portato da nessuna parte, visto che la ricostruzione pesante non è partita e, diciamolo francamente, quella leggera non è neanche da prendersi in considerazione dato che le abitazioni classificate A,B,C, in alcuni casi avevano qualche crepa e qualcuno ne ha addirittura approfittato per rifarsi casa.
Nonostante si sia passati da un governo politico ad uno tecnico e il sindaco Cialente sia stato riconfermato, avendo ora a disposizione la professionalità del ministro Barca come “inviato” speciale per la ricostruzione, ancora adesso prevale un clima di opposizione tra le parti mentre le costosissime impalcature di legno e acciaio del centro storico iniziano ad invecchiare, rimanendo l’unica certezza di quello che doveva essere il più grande cantiere d’Europa.
L’Aquila è legata tutt’ora ad una visione assistenzialista suo malgrado, perché ogni giorno perso è un danno economico per le casse del governo, una ferita psicologica profonda per la gente comune disorientata in mezzo alle pastoie della burocrazia che produce pochi risultati con la velocità di un bradipo, mentre perfino i più ottimisti si stanno lentamente convincendo che la “macchina” non funziona, passivi spettatori di una “guerriglia” politica senza tattica e scopo se non quello di temporeggiare.
Il punto di forza della città era il suo grande patrimonio artistico, in grossa parte distrutto, quello recuperabile da riportare all’antico splendore attraverso interventi che richiedono svariati milioni di euro che al momento non sono reperibili, anche perché le famosissime donazioni straniere si sono viste con il lanternino, cosa che, tanto per fare un illustre esempio, costringerà la basilica di Collemaggio a rimanere imbracata a lungo.
Negli ultimi tempi si è parlato molto della ritornata movida nel centro storico della città tombale dal lunedì al giovedì, terra di nessuno il resto della settimana dove dominano i nuovi barbari pronti ad esorcizzare le loro frustrazioni tra risse, bottiglie rotte, vomitate varie, defecazioni nel buio di qualche vicolo dove appaiono le oscure sagome dei palazzi puntellati, cosa che deprime persino chi coraggiosamente aveva deciso di ricominciare proprio dal cuore vecchio del capoluogo, un atto di coraggio veramente.
Si tratta di degrado, di pura deriva sociale di una città che non c’è e tarda a profilarsi , ancora abituata a confrontarsi con lo struscio dei centri commerciali, unico vero luogo di “aggregazione” artificiale forzata dal 6 aprile 2009, uno scenario che muta faccia il fine settimana quando tanti giovani utilizzano il centro storico come luogo aperto per ogni sorta di impulso, sicuri di rimanere impuniti dato l’esiguo numero di pattuglie, tranne i soldatini, trasformando l’anormalità in normalità.
Sono moltissimi i giovani e gli adulti che non si riconoscono più in questo stato di cose, che sofrono per non riuscire a “calarsi” in questa triste realtà che sembra essere diventata la regola, che preferiscono rimanere nelle loro abitazioni provvisorie senza servizi esterni pur di non vedere lo sfasciume sociale e materiale che domina incontrastato.
Dalle innumerevoli discussioni sul futuro della città, pochissima attenzione viene dedicata alla qualità della vita e al benessere psicologico e sociale che dovrebbero accompagnare il processo della ricostruzione tout court, partendo dal decoro degli spazi urbani dove è concentrata attualmente la vita degli aquilani: vedendo quello che sono Viale Corrado IV e Viale della Croce Rossa balza subito agli occhi che neanche l’ordinario si salva dall’incuria, quello stesso senso di triste abbandono che aleggia sulla città: a quando la svolta?


19 Giugno 2012

Categoria : Senza categoria
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