Per mancanza di fiato


(di Carlo Di Stanislao) – Certo non è mai troppo presto per morire, né l’uomo può aggiungere un solo istante al suo destino. Ma 63 anni sono davvero pochi per farlo, soprattutto quando si esercita la creatività, che, con gli anni, di solito si riduce di quantità ma migliora in qualità: si affina, si leviga , diviene qualcosa di ancora migliore.
Eppure, a soli 63 anni, per una grave forma di insufficienza respiratorio, è morto ieri nel Salento Giuseppe Bertolucci, figlio del poeta Attilio e fratello minore di Bernardo, come lui regista, scopritore del talento di Benigni, ma soprattutto raffinato narratore dell’animo femminile, con le sue mille sfumature.
E’ morto per mancanza di fiato, per distrazione di respiro, come certo avrebbe detto la sua creazione Cioni Mario-Benigni, il suo successo più grande, ma non l’unico merito conseguito, in una carriera iniziata poco più che ventenne e, nonostante il cognome, troppo spesso in salita (che il fiato spezza ed uccide)
Come ha scritto nel suo commiato Filiberto Molossi, un artista vero, assorto con pudore nelle imprevedibili aritmie dell’espressione, alla ricerca del filo smarrito delle cose, tra un sentimento sospeso e un ricordo presente.
Un artista anche difficile e per questo poco considerato e molto a lungo dimenticato.
Nato nel ’47, nel dopoguerra giocava nella casa di Baccanelli, mentre il padre dettava al telefono (e a braccio) le sue recensioni cinematografiche alla Gazzetta; vivendo lampi improvvisi e geometrie visionarie con il fratello Bernardo, quelle stesse che, poi, si sarebbero fatte film o storie per film.
Sul set arriva nel 1970, chiamato come aiuto dal fratello Bernardo, per “La strategia del ragno” e già l’anno dopo firma da Autore il mediometraggio I poveri muoiono prima, seguito, nel ’72, dal film per la Tv Andare e venire.
Nel 1976 collabora alla sceneggiatura di Novecento, uno dei capolavori (forse quello assoluto) del fratello e sul set del film gira il documentario didattico AB Cinema: ancora oggi una lezione essenziale.
Nel 1977 esordisce nel lungometraggio, con Berlinguer ti voglio bene, trasposizione, divertita e profonda, dello spettacolo da lui scritto per Roberto Benigni incentrato sul personaggio di Cioni Mario.
Nel ‘79, poi, è la volta di Oggetti smarriti: pellicola di assoluta originalità nell’ambito del nostro panorama, in cui si racconta degli incontri che si susseguono, alla Stazione centrale di Milano, fra una borghese in crisi ed un suo bizzarro amico.
Dopo un film-inchiesta commissionato dal PCI, Panni sporchi (1980) ed un nuovo lavoro per la televisione, torna al cinema con Segreti segreti (1984), scritto assieme a Vincenzo Cerami, interpretato da uno stuolo di bravissime attrici (su tutte, Lina Sastri, Giulia Boschi e Stefania Sandrelli).
Dopo TuttoBenigni (1986), sfilata di esibizioni del comico toscano in giro per l’Italia, gira Strana la vita (1987), dall’omonimo romanzo di Giovanni Pascutto e, subito dopo, I cammelli (1988), uno dei rari road-movie italiani girato in modo autarchico ed ispirato.
Successivamente firma il grottesco Troppo sole con Sabina Guzzanti e Strana la vita, in cui ancora descrive con acume la complessità della psicologia femminile, tema che ritorna, caso più unico che raro nel cinema italiano, in Amori in corso, Segreti segreti, Il dolce rumore della vita, L’amore probabilmente, pellicole in cui impegna diverse generazioni di attrici: Alida Valli, Lea Massari, Stefania Sandrelli, Mariangela Melato, Lina Sastri, Francesca Neri, Amanda Sandrelli.
Negli ultimi anni si era dedicato principalmente al teatro, portando al successo spettacoli di segno politico come ‘Na specie de cadavere lunghissimo dedicato a Pasolini e L’ingegnere Gadda va alla guerra, con Fabrizio Gifuni, grande interprete di entrambi.
Nell’ultimo spettacolo, in scena fino ad aprile scorso, aveva affidato alla bravura di Sonia Bergamasco l’evocazione di un altro straordinario personaggio femminile, Anna Karenina.
Era stato presidente ed ora dirigeva la cineteca di Bologna e adesso, dopo la sua morte, come quasi sempre accade da noi, quelli che lo avevano snobbato considerandolo un “Bertolucci minore”, lo ricordano con enfasi commossa.
Io, invece, che sempre l’ho amato, per il candore dei sentimenti ed il coraggio delle scelte, anche quando erano francamente sbagliate, raccomando a chi lo voglia davvero conoscere non solo di guardarne i suoi film di regia, ma di ricordare che ha firmato soggetto e sceneggiatura di La luna (1979) del fratello Bernardo, di Tu mi turbi (1982) diretto e interpretato da Benigni, Non ci resta che piangere (1984), frutto dell’indimenticabile accoppiata Benigni-Trosi e del Il piccolo diavolo (1988), ancora con Benigni regista e protagonista, assieme ad un indimenticabile Walter Matthau.
E raccomando anche di vedere il suo ultimo lavoro L’amore probabilmente, girato in digitale con un entusiasmo da neofita ed i due documentari dedicati alla figura di Pier Paolo Pasolini: Pasolini prossimo nostro e La rabbia di Pasolini, per vedere quanto ancora era giovane dentro e quanto sia stato ingiusto morire a soli 63 anni.


17 Giugno 2012

Categoria : Cultura
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