In ricordo di Luciano Fabiani
L’Aquila – (di Ugo Centi) – Oggi è scomparso Luciano Fabiani, aveva 83 anni e, a me, ricorda qualcosa. Ero bambino quando in casa sentivo parlare di questo politico aquilano, democristiano “sui generis”. Per vie delle elezioni, allora molto partecipate, alle quali mio padre non era estraneo. Poi venne il 1971. Scoppio la “guerra”, con tanto di barricate, sampietrini e cariche della Celere, per la incredibile diatriba del capoluogo tra L’Aquila e Pescara. Avevo 8 anni, ma ricordo perfettamente quei giorni di febbraio ’71. La casa di Fabiani, vice presidente della Regione, insieme a quasi tutte le sedi dei partiti, fu incendiata.
Si avvicinavano intanto i tempi del compromesso storico. Fabiani era considerato da alcuni del suo partito un “sinistrorso”. Da sempre contrapposto all’area Fanfaniana della Dc, simboleggiata allora dal ministro Natali, fortissimo in città.
Salto molto. E passo al 1990. Fabiani aveva rotto con la Dc. Era stato abbandonato da molti della sua un tempo potentissima corrente locale. Non le aveva fatte tutte giuste sul piano politico. Anzi…. Ma oggi non è il momento di raccontare quegli aspetti. In una mattina di fredda primavera me lo ritrovo in Piazza Duomo ad applaudire Marco Pannella sul palco per “Convenzione democratica”, una specie di Ulivo ante litteram, dove c’erano anche l’attuale sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, e l’odierna leader del Pd aquilano, Stefania Pezzopane.
Andò male. Convenzione Democratica perse le elezioni contro una Balena Bianca trionfante rappresentata dal sindaco, Enzo Lombardi. Venne però, nel 1992, Mani Pulite, e Fabiani faceva una opposizione terribile in consiglio comunale, con la dialettica torrenziale che gli era propria ed anche la notevole preparazione politica che gli veniva da tutti riconosciuta. Quindi la Dc crollò anche a L’Aquila e, dopo un periodo commissariale, divenne sindaco il mio omonimo Antonio Centi.
Un altro salto di una decina d’anni. Siamo al 2000. Alla Regione arriva la destra di Pace e Fabiani mi fa chiamare da un comune amico. È incuriosito da “Controaliseo”, il periodico cui intanto avevo dato vita. Parliamo. Mi manda qualche nota politica siglata con uno pseudonimo. Ma la cosa finisce lì. Poi la sua malattia, che lo prende proprio in quel che aveva di più forte: la voce.
Il resto è storia di oggi. Dopo il terremoto l’ho perso di vista. Mi hanno detto che era andato ad abitare in una frazione aquilana. Lui che era sempre vissuto in centro storico!
Rapporto travagliato, comunque, quello tra mio padre e Fabiani, fatto di durissimi scontri politici e da una riappacificazione quando lui, Fabiani, aveva perso il potere appunto.
Altri tempi, però. Ma forse, solo perché mi ricordano un passato. Un pezzo della nostra, della mia, storia.
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