Scienza, politica e informazione


(di Guido Visconti, docente all’Università dell’Aquila) – GRANDI RISCHI, SCIENCE INSTITUTE E PROGETTO OCSE – Le vicende apparentemente eterogeee del processo alla Commissione Grandi Rischi, l’istituzione del Gran Sasso Science Institute e il progetto OCSE sono invece accumunate da uno stesso equivoco: la confusione tra scienza e politica che deriva peraltro dalla sensazione (inculcata appositamente) che la gente comune ha della scienza. La prima vicenda è stata commentata da tutti i maggiori giornali scientifici del mondo e il coro è stato unanime e cioè che questo è un processo assurdo.
Il commento forse più appropriato è quello apparso su Science del 16 Dicembre scorso quando Joel Cohen della Columbia University dice che il processo è la dimostrazione “di come l’informazione scientifica è trasmessa al pubblico e qual è il livello di comprensione della scienza da parte di avvocati e dei politici”. L’equivoco fondamentale che si ripete puntualmente nel processo è la processione di esperti. Alcuni non avrebbero neanche i titoli per stare dentro l’università (controllate giudici!) e altri vengono chiamati solo perché hanno opinioni già note. Tutto ciò costituisce una comunicazione a senso unico in base alla quale poi l’apparato giuridico dovrebbe procedere. Al contrario questo dovrebbe essere un metodo che funziona in tutte e due i sensi perché la gente deve conoscere i rischi, mostrare che quell’informazione è stata utile (cioè ad esempio: vivo in una casa sicura?) ed eventualmente chiedere informazioni supplementari.
L’istituzione del Gran Sasso Science Institute viene rivendicata soprattutto dai politici che mostrano ancora una volta di comprendere poco di scienza. Infatti non si rendono conto che questo è un grave attacco alla funzione dell’Università dell’Aquila e più in generale delle università abruzzesi. Si tratta di un’iniziativa che sembra per il momento concentrarsi sull’istituzione di corsi di dottorato nei settori della Fisica delle Particelle elementari, della matematica e informatica e della business administration. La scelta di questi temi (al pari dell’iniziativa stessa) avviene al di fuori di qualunque contatto con l’università e sorprende per l’assenza di temi che sarebbero ben più importanti per la nostra regione come quelli legati allo studio e alla prevenzione delle conseguenze dei terremoti, dei disastri causati da fenomeni meteo-idrologici gravi e dell’impatto che questi hanno sul territorio regionale. Il terremoto infatti esiste solo nella premessa del documento e questo è grave perché ancora una volta la sofferenza e la disperazione della gente viene usata per giustificare un’impresa che va a beneficio solo di pochi. Al contrario alcuni dei temi proposti non hanno e non avranno nessun impatto sull’economia e sulla ripresa economica della nostra regione e più in generale sul benessere degli abruzzesi. Essi peraltro non sono originali e al livello nazionale e internazionale sono perseguiti già da istituzioni di grande prestigio. La riprova è che in venti anni della loro esistenza i Laboratori del Gran Sasso hanno avuto impatto zero sull’economia dell’Aquila (ma anche su quella di Teramo) e ancor meno sugli iscritti ai corsi di laurea in Fisica della nostra regione. E’ sorprendente che iniziative del genere siano basate sull’utilizzo di risorse pubbliche che soprattutto nell’attuale situazione economica andrebbero ponderate e concordate con le strutture territoriali il cui scopo principale è quello dell’alta formazione. Eppure con un foglietto e mezzo di proposta l’unico beneficiario di questa iniziativa incassa circa 30 milioni di euro.
Infine il progetto OCSE. Il documento non a caso è stato preparato oltre che da docenti universitari (che sono notoriamente incapaci di pratica giornaliera) anche da Confindustria e sindacati. Sembra scritto mescolando frasi fatte e infatti contiene proposte che si leggono ovunque. In questo caso, quello che ha scritto il 7 Aprile Salvatore Settis su “La Repubblica” è semplicemente illuminante, quando dice ad esempio “Cominciamo male, con un frivolo slogan: trasformare L’Aquila in una smart city. Continuiamo peggio: perché L’Aquila diventi intelligente occorre farne «un prototipo, un laboratorio vivente, uno studio di caso, che sfrutti nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita». Di nuovo c’è una visione distorta di quello che potrebbe fare la scienza che in questo caso di nuovo invece coincide con la tecnologia, l’informatica, l’architettura, ecc. Queste iniziative sono sempre presentate come quelle che risolvono i problemi delle piccole e medie imprese (è venuto persino un ministro a spiegarlo). Poi però arrivano le solite mega industrie che ingoiano solo soldi che accodano qualche utile idiota di provenienza universitaria e tutto si risolve nella retorica dello sviluppo e della grande industria. La scienza non può risollevare L’Aquila anzi, iniziative di questo genere l’affosseranno (leggi Università). Tutto ciò serve per mettere fumo negli occhi della gente e dare lustro molto temporaneo ai politici. Sono proposte basate su pochi soldi (forse virtuali) mentre per ricostruire il centro storico (e quindi gli aquilani) ci servono soldi veri, e tanti!


07 Giugno 2012

Categoria : Dai Lettori
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