Ma che razza di democrazia siamo?


Il cittadino al quale raccontano da piccolo che l’Italia è una democrazia, e che i diritti della gente si sostanziano nella libera scelta di chi deve governarla, si pone delle domande. Dubbi semplici e logici. Guardando ciò che avviene al comune dell’Aquila, uno si chiede: come è giustificabile che i candidati sindaci (Mancini, Verini, Blundo) non facciano parte del consiglio? Perchè Vittorini, invece, ne fa parte? In un consiglio, argomenta l’uomo qualunque, dovrebbero entrare coloro che prendono più voti degli altri.
Corretto, quindi, che ci sia Vittorini, incomprensibile che non ci siano gli altri tre. Tanto più che la maggior parte di coloro che sono entrati, ha preso meno voti dei tre esclusi. Esistono leggi e regole elettorali, astruse e incomprenisibili (quindi cattive leggi), esistono organi che sanciscono e decidono, proclamano e dichiarano eletti questo o quello. Dobbiamo presumere che le regole siano state rispettate, anche se è da verificare. Dobbiamo concludere che questa italiana è una democrazia da operetta o da repubblica delle banane, se chi ha preso meno voti entra e chi ne ha presi di più rimane fuori. Quale è il rispetto della volontà popolare? Quello illogico, distorsivo, ambiguo, ingannevole di regole non rispondenti ai principi della maggioranza prevalente sulla minoranza.
Diciamo allora che la nostra è una democrazia balorda, o quanto meno imperfetta, secondo le circostanze. Ci chiamano a votare, a scegliere questo e quello, ma una volta espresso il voto, insediano coloro che hanno meno consensi di altri. E’ già ridicolo che possa essere consigliere comunale di 72.000 abitanti uno che prende 150 o 200 voti. Diventa stortura ciò che capita a candidati sindaci che, bene o male, hanno avuto consensi molto più numerosi.



27 Maggio 2012

Gianfranco Colacito  -  Direttore InAbruzzo.com - giancolacito@yahoo.it

Categoria : Editoriale
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