La preta, ricordando don Tantalo
Chieti – (di Goffredo Palmerini) –
In una domenica di maggio, il 13, con un cielo velato di nubi si sale verso Chieti, capitale del glorioso popolo dei Marrucini, l’antica Teate che la leggenda vuole essere stata fondata nel 1181 a.C. dal pelide Achille, il quale così la chiamò in onore di sua madre Teti. Ora, a richiamo di quella leggendaria fondazione della città, l’eroe greco campeggia sul rosso gonfalone municipale, in sella ad un cavallo rampante. Certo è invece che quell’antico popolo italico, forte ed orgoglioso come gli altri che abitavano l’antico Abruzzo, non ebbe timore dei Romani, con i quali si confrontò in aspri combattimenti, conclusi nel 304 a.C. con un trattato di pace che fece dei Marrucini fedeli alleati di Roma, essendo poi al suo fianco nelle guerre contro Pirro, re dell’Epiro, contro i Macedoni di Perseo e infine i Cartaginesi di Annibale. Dopo la Guerra sociale del 91 a.C. la città di Teate fu elevata a municipium romano, così diventando un importante centro economico della terra marrucina che dai contrafforti della Maiella degradava verso il mare Adriatico, come documentano il foro, l’anfiteatro, le terme e il teatro di cui restano a Chieti significative testimonianze archeologiche. Tuttavia non si va nel capoluogo marrucino alla ricerca di queste vestigia, ma per assistere alla “prima” del dramma teatrale “La Preta”, un’opera in due atti sulla vita di don Gaetano Tantalo scritta e messa in scena da un gruppo di allievi del Pontificio Seminario Regionale “San Pio X” di Chieti.
Massimo Balloni, 40 anni, laureato all’Accademia di Belle Arti di Macerata, ora seminarista a Chieti ma con alle spalle un decennio sui palcoscenici, come attore, con il gruppo Drammateatro di Popoli, è l’autore del testo teatrale su don Gaetano Tantalo e il regista. Undici i personaggi del dramma, interpretati dai seminaristi Antonello Corradetti, Antonio Allegritti, Pierluigi Pistone, Angelo Salvatore, Andrea Manzone, Alessio De Fabritiis, Antonio Giannone, Daniele Pavone, Gabriele Marchegiani, Angelo Giordano, Giovanni Budano, Emidio Cerasani, Stefano De Rubeis, Matteo Baiocco, Guido Carafa, Carmine Di Bernardo, Gianluca Di Nicola e, nella parte di don Gaetano Tantalo, l’aquilano Federico Palmerini. Voce fuori campo della Madre di don Gaetano, Giulia Mantini. Al pianoforte Angelo Giordano, Andrea Manzone e Daniele Pavone, consulenza musicale e armonizzazioni di Domenico Villani, coro del Pontificio Seminario Regionale.
Alle 16 è tutto pronto per la rappresentazione, nell’Aula magna del Seminario di recente sottoposta ad un accurato restauro grazie alla generosa donazione di un “benefattore”, come sottolinea il rettore mons. Gino Cilli intrattenendo il pubblico che riempie la sala, in attesa che il sipario si apra. Anche noi siamo tra loro, per questo evento importante che accende di nuova luce la vita di don Gaetano Tantalo, prete nato in un paesino della Marsica e morto a soli 42 anni in odore di santità per l’eroiche virtù cristiane e per i gesti di donazione ed altruismo che l’hanno elevato a Giusto tra le Nazioni nel sacrario della memoria dello Yad Vashem, a Gerusalemme. E, diciamolo, siamo qui anche per curiosità verso uno spettacolo che nasce interamente in un Seminario, nel testo drammaturgico e nella rappresentazione, per iniziativa di giovani seminaristi,
singolarità che persino un quotidiano nazionale come La Stampa ha raccolto e messo in evidenza.
Ma ecco che il sipario si apre. L’incipit narrativo dell’opera “La Preta”, nel senso della “pietra” quale fermezza della fede, descrive l’Abruzzo di quegli anni, la Marsica, terra che tanto profondamente Ignazio Silone ha descritto nei suoi romanzi. E la vicenda umana di don Gaetano Tantalo, nato nel 1905 a Villavallelonga, in provincia dell’Aquila, incrocia proprio quell’ambiente sociale e umano, quelle storie di gente umile e derelitta, egli umile tra gli ultimi. Tutti gli eventi di quella prima metà del Novecento trovano giusta eco e puntuale richiamo nella trasposizione drammaturgica: le condizioni dei “cafoni” e la loro profonda umanità, l’emigrazione, il terribile terremoto della Marsica, la vocazione e la formazione religiosa di un ragazzo d’umili origini e di grande intelletto, le due guerre mondiali e in mezzo il fascismo, le leggi razziali e le persecuzioni degli ebrei, l’occupazione tedesca, la Liberazione e il ritorno dell’Italia alla democrazia. Dentro questi eventi che hanno segnato di sofferenze, tragedie immani e lutti la prima metà del secolo scorso, ma anche di fulgidi esempi di generosità ed eroismo, si dispiega la vita di don Tantalo, richiamata nei momenti più significativi nei due atti che l’autore e regista Massimo Balloni ha sapientemente messo in scena, in un armonico insieme di recitazione teatrale e narrazione, direttamente attinta alle fonti e al copioso epistolario del sacerdote marsicano.
Dunque, un testo teatrale davvero denso e convincente nel suo sviluppo scenico, per quanto l’allestimento abbia dovuto forzatamente essere limitato, per via delle ridotte dimensioni del palcoscenico. Ma la sua austerità, nella quale sul fondale di scena ha campeggiato il volto di don Gaetano Tantalo, non ha fatto torto all’intensità drammaturgica, alla forza narrativa del testo, alla tensione spirituale, alle quali hanno dato volto e voce gli insoliti attori, con un’interpretazione avvertita, piena, superba, eccellente. Straordinaria, se si pensa a giovani che fino a qualche settimana fa erano totalmente digiuni di recitazione. Eppure, forse la compenetrazione in una storia così ricca di significati – le scene dell’ordinazione sacerdotale e della morte di don Tantalo, in primis – ha come per miracolo creato un pathos palpabile, un’intensità narrativa e teatrale, un perfetto movimento d’insieme che non ha mai mostrato sbavature. Una prova dignitosa, fortemente convincente anche nella performance corale che in più occasioni ha contrappuntato la rappresentazione, particolarmente nell’esecuzione dell’Ave Maria, il commovente brano composto nel testo e nella musica da don Gaetano Tantalo. Molti gli occhi lucidi tra il pubblico, nelle due ore di spettacolo, poi gli applausi a scena aperta e l’ovazione finale. Bravi tutti, bravi gli attori e tra essi l’interprete di don Gaetano Tantalo, il seminarista aquilano Federico Palmerini. Merito del lavoro di preparazione, curato con vero talento dal regista Massimo Balloni, artista eclettico, dotato d’un carisma tanto evidente quanto la sua mitezza. Per lui i riconoscimenti più insistiti.
Lo spettacolo, acquisiti gli assensi necessari, in autunno emigrerà in terra marsicana, com’è giusto e doveroso, laddove don Gaetano Tantalo ha dato la sua forte testimonianza sacerdotale. Il rettore del Seminario, mons. Gino Cilli, in chiusura di rappresentazione, ha ringraziato i suoi allievi per la magnifica prova teatrale e per aver voluto dedicarla a lui, nel 25° dell’ordinazione sacerdotale. Il rettore ha voluto anche richiamare, posto che don Gaetano Tantalo dal 1923 al 1930 fu studente del Seminario di Chieti, quanto risulta dagli atti d’archivio. “Dai documenti dell’archivio del Seminario – ha detto mons. Cilli – e dalle testimonianze variamente raccolte, risulta essere stato un esemplare alunno. Dolce, affabile e rispettoso, si distinse, inoltre, per la straordinaria intelligenza e la cura della formazione intellettuale, per l’impegno nell’osservanza della disciplina e per la serena obbedienza ai superiori. Ma ciò che colpisce ancor più dell’alunno Tantalo è l’esperienza di Dio, la sua “conversione”, che visse nel tempo del Seminario e che lo segnò per tutto il resto della sua vita e fu all’origine della riconosciuta e commovente testimonianza di carità eroica, mista a grande umiltà, che diede da prete”.
Ora è utile richiamare i tratti salienti della vita di don Gaetano Tantalo. Nasce il 3 febbraio 1905 a Villavallelonga da Luciano e Maria Coccia che, essendo il primogenito, come d’abitudine nel paese, gli danno il nome del nonno paterno. Quella dei Tantalo è una famiglia contadina, umile e povera. Quattro saranno i figli. A sei anni Gaetano inavvertitamente cade in un fosso, dove si spegne la calce viva. Ne esce “miracolosamente” incolume, senza ustioni. Dirà sempre d’aver visto la Madonna, in quei terribili momenti. Il 13 gennaio 1915, alle 7 e 55 del mattino, il devastante terremoto che distrugge Avezzano e tutti i paesi della Marsica, facendo più di trentamila vittime. A Villavallelonga il soffitto della scuola elementare cade sugli alunni. Gaetano, estratto dalle macerie, è ferito gravemente alla testa, coperto di sangue e polvere. Entrambe gli occhi sono fuori dalle orbite per il colpo subìto nel crollo del soffitto. Un’ambulanza porta immediatamente il ragazzo a Roma. Gli rimarrà una cicatrice in fronte. Racconterà poi l’accaduto ad Achille Palmerini, suo amico di Tagliacozzo, sacerdote quasi coetaneo – diventato poi Vescovo di Isernia e Venafro, rimasto alla guida di quella diocesi per ben 38 anni – con queste parole: “Una pietra mi cadde sul viso e il colpo mi fece uscire gli occhi dall’orbita. Ricordo che la nonna me li pulì col “zinale” e io stesso li presi con la mano e li rimisi a posto”.
Nel novembre 1918 Gaetano entra nel Seminario diocesano di Tagliacozzo. E’ un ragazzo di 13 anni, vivace e intelligente, tenace e socievole, amico dei suoi compagni. E’ esemplare nel comportamento e negli studi, attento alla preghiera e sempre disponibile ad aiutare gli altri. Due anni di ginnasio ad Avezzano, poi nel 1923 l’ingresso nel Seminario Regionale di Chieti, per frequentare il liceo e gli studi teologici. Mette presto in mostra una memoria di ferro, declama interi canti della Divina Commedia e di altri poemi, eccelle negli studi ma anche nella modestia, non si tira indietro nello scherzo e nel divertimento, come non si risparmia nel raccoglimento interiore. Predilige Dante, Leopardi, Manzoni e Giovanni Papini tra i contemporanei. Legge agevolmente i classici latini e greci, con piena dominanza delle lingue originali, e si muove con padronanza anche tra i numeri e le materie scientifiche. Ma l’altra sua passione è la musica colta: Beethoven, Mozart e Bach, ma anche Giovanni Pierluigi da Palestrina, uno dei massimi esponenti del Rinascimento musicale europeo. Viene definito “un piccolo genio” nelle discipline scolastiche, è un grande mistico nella preghiera, alla sequela dell’esempio di Santa Teresa di Lisieux, suora carmelitana dichiarata nel 1927 Patrona dei missionari, dalla cui testimonianza cristiana è particolarmente attratto. In quegli anni di Seminario, meditando su tale spiritualità, egli stesso parlerà come della sua “conversione”.
1930, il 10 di agosto, viene ordinato sacerdote dal Vescovo di Avezzano e cinque giorni dopo celebra la sua prima messa a Villavallelonga, suo paese natale. Inizia l’attività pastorale ad Avezzano, come vice parroco nella chiesa di S. Giovanni, unitamente all’incarico d’insegnamento nel seminario diocesano. Segue la nomina a parroco di Antrosano e, nel 1936, l’affidamento della parrocchia di S. Pietro Apostolo a Tagliacozzo, che conserverà fino alla morte. Campione di meditazione e di preghiera, di don Gaetano Tantalo si ricordano il grande amore per la natura, l’attenzione per la flora e la fauna, il rispetto dei boschi, che ne fanno davvero un ambientalista ante litteram; poi la sua capacità nella formazione e nel dialogo con i bambini, gli adolescenti e i giovani, con una spiccata sensibilità capace di mettersi sempre in relazione, con le frequenze giuste, con le giovani generazioni, sapendo cogliere e far emergere da ognuno il proprio talento. Riesce a tenere con tutti un rapporto immediato, paritario e maturo. Particolarmente con i bambini, riesce a comunicare con grande ascendenza, felice di dedicare loro il tempo del gioco e quello della catechesi, impegnandosi con loro sopra ogni altra occupazione, in rispetto delle parole di Gesù “Sinite parvulos venire ad me”.
Dell’amore per la musica già si è detto: vasta la sua cultura musicale, che spazia dal canto gregoriano ai classici. Come pure la sua propensione alla composizione, esercitata egregiamente, sebbene egli non sappia suonare alcuno strumento. Infine, l’amore per il prossimo, che egli ama non come se stesso, ma più di se stesso. Don Gaetano non è attento solo ai bisogni spirituali del popolo che gli è affidato, ma è premuroso e sollecito verso la povertà e le esigenze materiali dei fratelli che incontra nel suo cammino. A loro dona non il suo superfluo, ma tutto ciò di cui dispone, persino le sue scarpe ed il suo abito sono per chi ne ha più bisogno. Vive in grande semplicità e povertà evangelica, nella gioia di donare a chi soffre, senza preoccupazione di privarsi del suo necessario. Vede negli ultimi il volto di Dio e nel prossimo la Sua manifestazione. In tempi assai diversi da quelli che oggi viviamo dopo le aperture e le riforme del Concilio Vaticano II, don Gaetano Tantalo anticipò di decenni l’apertura al dialogo con le altre confessioni religiose e particolarmente con gli ebrei. Aveva conosciuto a Magliano dei Marsi una famiglia ebrea che lì passava le vacanze, gli Orvieto, con la quale era entrato in amicizia e confidenza, stimandone la grande religiosità. Quando con le leggi razziali gli ebrei subiscono la persecuzione fascista e con la guerra sono costretti a sfollare da Roma, a rischio della sua stessa vita don Gaetano accoglie e protegge in canonica le famiglie Orvieto e Pacifici, salvandole dai lager, emulato nel riserbo da tutti i suoi parrocchiani.
Verso i suoi “ospiti” ebrei ha un’attenzione e un rispetto profondi, tanto da preoccuparsi, egli che ben conosce l’ebraico biblico, di calcolare in quale giorno cada il 14 Nisan, giorno della Pasqua per gli ebrei, procurando loro anche quanto necessario per la celebrazione degli azzimi. Altri fatti del prete marsicano illustrano l’altruismo e la totale donazione al prossimo. Infatti, non ci pensa più d’un attimo, quando nel novembre 1943 le truppe tedesche a Villavallelonga vogliono prendere degli ostaggi da fucilare sospettando il paese come un covo di partigiani, ad offrirsi in cambio ai tedeschi pur di salvare i suoi compaesani. Altrettanto farà qualche mese dopo a Tagliacozzo, dove 12 persone erano state arrestate per rappresaglia e destinate a sicura morte, quando don Gaetano si offre in sostituzione, venendo egli pure arrestato e rinchiuso in prigione con gli altri. Arriva il giorno dell’esecuzione, tutti sono posti davanti a un muro per la fucilazione. Don Gaetano è tra loro, dà i conforti religiosi. L’ordine di sparare però non arriva, mentre in tutta fretta viene ordinata la liberazione dei condannati a morte. Forse l’avanzata degli alleati o forse la fretta di ritirarsi dei tedeschi possono spiegare quel “miracolo”. Di certo non si è conosciuta la ragione di un fatto così inatteso e provvidenziale per la vita dei 13 destinati alla morte per fucilazione.
La guerra è finita, ma don Gaetano ha una guerra tutta sua da combattere, contro la tisi che da qualche anno gli mina il fisico. Lo fa con il raccoglimento, la preghiera e l’intimità con Dio, continuando a privarsi del necessario, destinato a chi ha più bisogno, nonostante gli inviti e le raccomandazioni a riguardarsi. Sono mesi e mesi di sofferenza e privazioni, la sua Passione che infine lo transita in Cielo la mattina del 13 novembre 1947. Nel 1958 le sue spoglie mortali, sepolte nella nuda terra come da sua volontà, vengono riesumate e composte nella cappella di famiglia nello stesso cimitero di Villavallelonga. La Congregazione per le cause dei Santi, su disposizione del suo Prefetto, il Cardinale Corrado Bafile, il 13 giugno 1980 autorizza la ricognizione sul corpo e il successivo trasferimento nella Chiesa Parrocchiale, avvenuto il 28 agosto, dove ora riposa in un sacello monumentale. L’11 gennaio 1981 il Vescovo dei Marsi, mons. Biagio Vittorio Terrinoni, con una supplica avvia il processo canonico per il riconoscimento delle virtù eroiche di don Gaetano Tantalo, modello di santità sacerdotale. Il 6 aprile 1995 la Congregazione per le Cause dei Santi emette il decreto di riconoscimento delle virtù eroiche che prepara alla beatificazione di don Gaetano. Recita il decreto, a firma del Prefetto, Cardinale Angelo Felici: “Consta il grado eroico delle virtù teologali di fede, speranza e carità tanto verso Dio come verso il prossimo, come pure delle virtù cardinali di prudenza, giustizia, temperanza e fortezza e di quelle ad essa congiunte del Servo di Dio Gaetano Tantalo, sacerdote diocesano, parroco della chiesa di S. Pietro Apostolo nella cittadina di Tagliacozzo”.
A ricordo della sua generosa opera di protezione degli ebrei, nel 1978 don Gaetano Tantalo è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni e ricordato con un albero che porta il suo nome nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto, a Gerusalemme. L’ho visto anch’io quell’albero, lo scorso mese di gennaio, quando ho visitato lo Yad Vashem, il luogo simbolo della memoria per gli ebrei. E ne ho visti tanti altri di alberi, lì nel Giardino dei Giusti, con nomi di religiosi, sacerdoti e presuli: don Vincenzo Fagiolo, Cardinale Pietro Palazzini, don Arrigo Beccari, don Michele Carlotto, don Dante Sala, mons. Giuseppe Placido Nicolini, don Aldo Brunacci, don Arturo Paoli, don Francesco Repetto, don Raimondo Viale, il pastore avventista Daniele Cupertino e il pastore valdese Tullio Vinay. Ho avvertito orgoglio ed emozione per quei 468 Giusti italiani, tra i quali, oltre ai famosi Giorgio Perlasca, Giovanni Palatucci e Carlo Angela, tanti altri eroi civili che, insieme a don Gaetano Tantalo, arricchiscono con la loro testimonianza nel rispetto della vita e della dignità umana, il patrimonio di civiltà dell’intera umanità.
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