La Cina sta per entrare in crisi?


La Cina sta per entrare in crisi? In caso affermativo quali sarebbero le implicazioni, in primo luogo per la Cina stessa e poi per i principali paesi europei? Da qualche anno la Cina è diventata la grande fabbrica del mondo ed di conseguenza è stato il motore principale della crescita globale. Ma supponiamo per un momento che questo motore sia in procinto di fermarsi. Consideriamo alcuni dati fondamentali: la Cina ha delle immense riserve di valute straniere, attualmente intorno a 2 trilioni di dollari US, ha un debito con l’estero molto basso, circa 90 miliardi di dollari, ha bassi livelli di debito personale essendo un paese noto per i suoi alti livelli di risparmio, ha circa il 30% dell’economia direttamente controllato dallo Stato, ha delle stime del PIL che prevedono per il 2009 una caduta dal 10% al 7-8% (le fonti che parlano del 5% sono stati ignorati dai giornali cinesi, inoltre, un rapporto riservato del mese di gennaio, preparato per i dirigenti di una importante società finanziaria, ha ipotizzato un PIL di appena 2-3%). Inoltre, nel gennaio 2009, le esportazioni cinesi sono cadute del 17,5% rispetto al mese di gennaio 2008 e peggio ancora, le importazioni sono diminuite ancora più significativamente, intorno al 43%. Questa stima del 17,5% sembra destinata a crescere nei prossimi mesi con le devastanti conseguenze tipiche di una recessione ancora senza una fine visibile. Infatti, dati ufficiali provenienti da Taiwan parlano di una diminuzione di esportazioni verso la Cina di oltre il 50% per il mese di gennaio 2009. Ora, poiché il 20% – 40% dell’economia cinese è basata sulle esportazioni (la percentuale precisa dipende da come le esportazioni sono misurate), se le esportazioni continuano a decrescere ci saranno seri problemi per il governo cinese nonostante le recenti promesse di investire quasi un miliardo di dollari in grandi progetti infrastrutturali. Quali sarebbero le conseguenze microeconomiche, politiche e sociali per la Cina? Una crisi economica durevole porterebbe la Cina al collasso, come alcuni esperti hanno previsto, oppure il governo potrà mantenere il suo potere e proseguire sulla strada dello sviluppo limitato nonostante la crescente disoccupazione, l’incapacità di colmare l’abisso tra la ricchezza urbana e la povertà rurale? L’attuale governo di Hu Jintao e Wen Jiabao ha dichiarato che il suo principale obiettivo per il quinquennio 2007-2012 è il raggiungimento della “società armoniosa” attraverso importanti riforme sociali. Un problema particolare riguarda i giovani, una generazione nuova di 400 milioni persone che non hanno mai conosciuto le sofferenze e la miseria delle precedenti generazioni. Questa estate, 5-6 milioni di nuovi laureati si uniranno al gruppo di un milione ancora alla ricerca di una collocazione sul mercato del lavoro dopo la laurea conseguita lo scorso anno. Poiché la maggior parte delle proteste e delle rivolte di carattere politico, nella storia Cinese moderna, hanno avuto inizio da contestazioni di studenti e di giovani intellettuali (compreso quella dello stesso Mao Zedong), il governo teme questa combinazione potenzialmente esplosiva di gioventù, buon livello culturale, forti aspirazioni economiche e disoccupazione. E quali sarebbero le conseguenze per il mercato europeo? In una riunione con Wen Jiabao a Londra all’inizio di febbraio, il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha puntato le sue speranze per il recupero dell’economia del suo paese sul raddoppio delle esportazioni inglesi verso la Cina nei prossimi 18 mesi (nelle sue parole questo era “absolutely crucial to helping the economy to recover”), ma, purtroppo, le esportazioni sono crollate passando dal 40% nel periodo gennaio-agosto 2008 al 3% della fine dell’anno. L’ottimismo del Primo Ministro era basato su false premesse? Probabilmente sì, e in Italia la situazione non è molto diversa. Nello stesso periodo, in Italia, c’è stato un calo notevole sia nelle esportazioni che delle importazioni a partire da dicembre 2008. Le ultime statistiche ufficiali disponibili, pubblicate dall’ISTAT il 26 febbraio 2009, indicano per il mese di gennaio un calo nelle esportazioni in Cina del 27,7%, con le importazioni più o meno costanti a +1,6%. Nell’attuale situazione economica, con diversi paesi europei in piena recessione, sembra verosimile che tali dati sono destinati a perdurare – se non peggiorare. Così, una crisi della Cina sarebbe un disastro per tutti gli esportatori europei oltre a creare molti altri problemi. Nel recente passato, appena alcuni anni fa, la Cina aveva bisogno dei mercati occidentali per mantenere la velocità dello sviluppo interno; al contrario, nel 2009, sono i paesi occidentali che hanno bisogno della Cina per tirarsi fuori dalla recessione. Sappiamo che il governo cinese ha sostenuto il boom del credito negli Stati Uniti con i suoi acquisti mensili di Treasury Bonds and Treasury Bills e che quindi i poveri risparmiatori cinese hanno, di fatto, finanziato le spese degli spendaccioni americani. Se dovesse abbandonare questa politica il dollaro potrebbe sprofondare, provocando una guerra commerciale. Già nel dicembre 2008, secondo gli ultimi dati disponibili, la Cina, per la prima volta, ha venduto più bond di quanti ne avesse acquistati dal 1992. Ecco perché il nuovo Secretary of State degli USA, Hillary Clinton, appena confermata nel ruolo è corsa a Pechino – mentre tradizionalmente il primo viaggio del nuovo Secretary comprendeva i principali alleati europei. Potrebbe una crisi cinese costringere il governo a cambiare la politica di investimento nel dollaro nel lungo termine? Per quanto riguarda i rapporti USA-Cina, ci sono diverse questioni molto difficili da affrontare. Il governo di Obama saprà resistere al pendio sdrucciolevole del protezionismo? Le discussioni sulla rivalutazione del renminbi cinese (moneta cinese) saranno risolte amichevolmente? Se la Cina entra in recessione siamo nei guai; se esce dalla tempesta senza danni sarà, a breve, una potenza economica globale dominante molto più di quanto si pensasse poco tempo fa. In ogni caso i prossimi mesi saranno molto interessanti per chi segue la Cina.
Nota biografica Edward Burman è da 2001 consigliere di Brainspark Plc, società di venture capital quotata a Londra. È inoltre consigliere di China IPO Group Plc (Jersey), specializzata negli investimenti in alta tecnologia in Cina, e presidente della sua società cinese, IPO Beijing Investment Consulting Ltd. Dal 1999 al 2005 è stato Senior Partner della società di consulenza Ambrosetti, di Milano. Precedentemente ha lavorato come autore, consulente e corporate speaker freelance. Il più recente dei suoi quindici libri è China, Stealth Empire: Why the world is not Chinese yet (History Press, 2008); un nuovo libro, China and Iran: Parallel History; Future Threat, sarà pubblicata nell’agosto 2009. Ha vissuto per molti anni a in Abruzzo nella città dell’Aquila e dal 2003 è residente a Pechino.


18 Marzo 2009

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